di Giorgia Caradonna

e Germana Trione

Architette

La frase più pronunciata degli ultimi tempi: “io resto a casa”; la casa, il luogo che, più di altri, ha subito notevoli modifiche nel tempo, rimanendo al passo col continuo cambiamento delle nostre abitudini.

Gli spazi, negli ultimi anni, hanno dovuto rispondere a nuove esigenze, quelle di una vita svolta prevalentemente all’esterno, e così abbiamo visto nascere, grazie ai maestri dell’architettura, soluzioni abitative essenziali, come le sperimentazioni di Renzo Piano e “l’unità minima abitativa”.

Eppure oggi ci siamo trovati a dover fronteggiare una situazione che, ancora una volta, ha mischiato le carte e proprio quelli che ormai erano divenuti gli “spazi minimi” si son dovuti adattare ad una vita diversa.

La funzionalità degli ambienti si è dimostrata fallace: la casa da essere il luogo in cui dormire, riunirsi con i propri cari, consumare i pasti principali della giornata – e neanche tutti- è diventata lo scenario cardine di tutte le nostre attività, il centro nevralgico di una vita ricca di abitudini a cui nessuno, fortunatamente, ha voluto rinunciare.

La trasformazione è stata graduale ma sostanziale; gli uffici, grazie a scrivanie mobili e tavoli -attrezzati in poco tempo-, son stati inseriti negli ambienti che, più di altri, riservavano uno spazio libero al passaggio, divenuti l’habitat essenziale per un continuo e costante svolgersi delle mansioni (tramite Smart Working) fino a quel momento delegate altrove.

Le palestre hanno preso forma in svariati luoghi della casa, tra salotti, camere da letto e disimpegni, cercando di rendere il più verosimile possibile quel momento di svago.

Le cucine sono divenute un luogo focale dove il tempo dilatato ha riportato in auge ricette dimenticate, con la conseguente necessità di creare più basi d’appoggio per ospitare strumenti di lavoro e grandi taglieri.

I luoghi comuni come i saloni sono diventati il centro di raccolta serale, attrezzati con schermi o proiettori che hanno saputo sostituire il cinema a cui la nostra vita era ormai assuefatta.

E come dimenticare, in questa situazione di completo cambiamento, di continue e costanti modifiche, di rimodulazioni e assemblaggi, la celebre frase dell’architetto Alessandro Mendini:

L’arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni: è la casa palcoscenico”.

In questo modo gli spazi si sono adattati alle esigenze di ognuno, assumendo le funzioni più variegate e le forme più astratte. E tutto questo in un modo o nell’altro ci ha portati ad adeguarci alla situazione che, inizialmente pareva come un disagio, ma che poi, poco alla volta, ci ha fatto riscoprire la bontà di un luogo di unione e condivisione.

Riscoprendo le qualità positive della casa potremmo pensare a uno spazio flessibile, un luogo capace di modellarsi concretamente in base a queste esigenze?

Altri spazi come i balconi, i terrazzi e, per i più fortunati, i giardini, sono stati arredati con divanetti e tavolini, diventando un luogo indispensabile alle nostre giornate che ci ha permesso di godere di sole ed aria, senza la necessità di indossare mascherine e guanti.

Questo è valso per molti ed è stato proprio grazie a questa necessità e a quei minuti di svago che ognuno ha saputo ritagliarsi, interrompendo le proprie attività, che si ha avuto una notevole svolta. Una piacevole sorpresa, qualcosa che ci ha permesso di guardare con maggior sentimento questo periodo di quarantena, e questa svolta si chiama “legame”.

Siamo riusciti ad instaurare legami con persone che prima erano delle semplici comparse nelle nostre vite, i nostri vicini, ma soprattutto l’abbiamo fatto in luoghi di confine, in “margini periferici delle nostra abitazioni” che adesso sono divenuti “luoghi di piacere”.

Proprio grazie a quegli elementi di confine, come parapetti, muretti e staccionate abbiamo potuto godere di un nuovo tipo di interazione sociale.

Il tema dei confini, da sempre dibattuto all’interno di tavole rotonde, nonché tema cardine che avrebbe dovuto accompagnarci, per l’intero mese di Maggio, in un percorso ricco di eventi ed incontri sull’architettura, “Bari International Archifestival”, in questo caso ha saputo scendere, da un’ampia scala territoriale ad una più piccola “domiciliare”, divenendo il “trait d’union” tra le persone.

Non si parla quindi di centro città e periferia ma di spazi privati e semiprivati, e così quei luoghi che avremmo potuto definire più deboli, ancora una volta divengono il collante tra le persone, il punto di forza su cui far leva, la bellezza collaterale di questa quarantena.

1 thought on “Nuovi modi di abitare

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