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Numero 26, PAROLA AL CAPO (l'editoriale di Varricchio)

Cambiare la Scuola che cambia

By Enzo Varricchio 26 Febbraio 202116 Marzo 2021

 

di Enzo Varricchio 

Oggi c’è il Covid ma prima non erano rose e fiori. Oggi c’è la DAD ma anche prima si avvertiva la difficoltà di assolvere al ruolo che la Scuola italiana riveste. La Scuola italiana ha reagito alla grande alla tragedia ma quale Scuola ci attenderà alla fine della pandemia? Stiamo progettando una formazione scolastica al passo con il dopo Covid?

Sul tema ripropongo un estratto dal volume da me scritto un anno fa con l’economista e diplomatico Canio Trione:

Post Covid 19: 10 cose da fare subito

Edizioni Scripta Moment, Bari, 2020 (collana Public Engagement)

https://www.amazon.it/Post-Covid-19-subito-Engagement-ebook/dp/B088Q1V4D7/ref=sr_1_3?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=1G8DXXBIGN6R2&dchild=1&keywords=enzo+varricchio&qid=1615896732&sprefix=enzo+varricc%2Caps%2C185&sr=8-3

Questo instant book si prefiggeva di indicare delle vie d’uscita dalla crisi che ancora oggi, a distanza di un anno dalla sua prima edizione, appaiono significative e in linea con le premesse del governo Draghi.

 

***

Cambiare la Scuola che cambia (Canio Trione – Enzo Varricchio, 2020)

La Scuola è la fucina delle intelligenze, l’incubatrice delle nuove classi dirigenti e lavorative, la dimora accogliente delle diversità e il mezzo di recupero delle devianze.

La scuola è la grande ammalata culturale italiana. Ammalata di mancanza di adeguata selezione, di perdita di riconoscimento di ruolo e meritocrazia dei docenti, di iperburocratizzazione, nonché vittima di scellerate scelte politiche.

Da sempre, in Italia, a causa dei bassi stipendi, il concorso per l’insegnamento scolastico non è la prima scelta di un neolaureato (a parte la minoranza dei casi); ci si arriva dopo aver tentato altre strade occupazionali: attività professionali, concorsi pubblici con più laute prospettive di guadagno, insegnamento universitario, imprese pubbliche e private, industria, etc.  Si diventa professori per concorso ma nessuno prepara e segue i docenti per forgiarli e testarli su una vera attitudine all’insegnamento, che notoriamente è una delicatissima missione di vita e non un lavoro come gli altri. Dopo un anno di prova meramente formale, e talora di cieca obbedienza ai voleri della dirigenza, si consegue la licenza di uccidere o salvare i cervelli degli studenti.

Recentemente si è consentito l’ingresso massivo nelle scuole di nuovi docenti ex precari e altre assunzioni sono in arrivo: sono stati adeguatamente selezionati e verificati?

Ecco la Scuola grande serbatoio occupazionale. Ma non si può risolvere il problema occupazionale sulla pelle dei ragazzi.

La dittatura dei numeri, la dottrina aziendalista e i presidi-manager.

Una scuola e il suo dirigente oggi vengono premiati dai numeri e non dalla qualità. L’imperativo è non bocciare perché far ripetere una classe costa un sacco di soldi allo Stato.

Ergo, “promuoviamo tutti”, così attiriamo più clientes, salviamo il posto del dirigente, evitando chiusure e accorpamenti. Per converso, quante realtà territoriali hanno perso e perdono i loro istituti, anche storici, a causa di diminuzioni nelle iscrizioni, con inevitabili ricadute negative sulla vita degli studenti e sulla tradizione culturale delle comunità?

Una volta il preside era un intellettuale, preferibilmente un umanista, oggi i “Dirigenti” sono tutti (o fanno finta di essere) dei manager, sui quali incombe lo spauracchio del licenziamento in tronco in caso di mancato raggiungimento di fantomatici obiettivi fissati da Roma, da cui provengono continue direttive e riforme a opera di improvvisati e talora “scurricolati” ministri.

Laureati in discipline non giuridico-economiche conducono schiere di povere anime, dovendosi disimpegnare tra tonnellate di circolari e direttive che talora non hanno i mezzi per comprendere e che li mandano nel panico che, inevitabilmente,  scaricano sulla classe docente, più impegnata a obbedire e compilare moduli inutili che a studiare e a trasmettere la conoscenza. Quanti dirigenti si dividono su due, tre scuole, con buona pace della loro indefettibile presenza in loco e della loro consapevolezza decisionale ma con ampia soddisfazione economica?

E poi, un mare di progetti, che blandiscono l’azione di insegnanti e dirigenti con la promessa di ulteriori emolumenti, ma che assorbono le scolaresche distraendole continuamente dalle materie curricolari, contribuendo ad aumentare la loro confusione.

Infine, il nuovo ruolo dei genitori, componente in teoria fondamentale per una crescita sana ed equilibrata della comunità scolastica, ma che spesso riverbera il malcostume italico avvezzo a conseguire i fini senza tema dei mezzi, con ogni sorta d’ingerenza finalizzata a contestare, impugnare e svilire l’operato dei docenti al fine di far conseguire ai figli l’agognato diploma ad ogni costo, facendo leva sui dirigenti con la minaccia di ricorsi e azioni legali a ogni piè sospinto.

Così, il professore medio è più incoraggiato a obbedire e a non farsi notare per evitare rogne che a eccellere; lo studente medio impara presto l’antifona e non si danna l’anima per studiare, visto che basta poco per andare avanti.

Salvo lodevoli eccezioni, in primis tra i licei, scarichiamo sulla società eserciti di mediocri che riprodurranno nelle sedi di lavoro tutti i vizi appresi tra i banchi.

La distanza poi dal mondo del lavoro appare siderale, con buona pace dell’alternanza scuola-lavoro. Le imprese e i professionisti che accolgono questo tipo di studenti non sono affatto incentivati e spesso si ritrovano tra i piedi scugnizzi impreparati e svogliati che si guardano bene dal formare, tanto meno dall’assumere in futuro.

Potrei andare avanti per pagine e pagine su questa falsariga, che da un lato certo tende a inevitabili generalizzazioni ma al contempo serve per capire bene il contesto. Meglio passare alle proposte, forse molto radicali ma essenziali. Ogni studente costa migliaia di euro all’anno allo Stato, non possiamo permetterci di dilapidare risorse con questi risultati.

Il da farsi:

1) Basta con la spada di Damocle dei numeri minimi per tenere aperta una scuola. Meglio una scuola di duecento eccellenze che una scuola di mille deficienze.

2) Selezione rigorosa dei docenti e delle conoscenze da parte di organismi misti e indipendenti e piena autonomia di valutazione e giudizio ai professori.

3) No alla promozione “di cittadinanza”. Essere bocciati serve a migliorarsi, non serve andare avanti per ottenere un diploma da “incorniciare”.

4) Sollevare dirigenti e professori dalle conseguenze della responsabilità erariale in caso di ricorsi giudiziari. Sbagliare una tantum è umano, non può si trasformare le scuole in diplomifici per sfuggire alle cause.

5) Meno burocrazia per i docenti. Il registro – ormai elettronico – è più che sufficiente. Tanto quelle montagne di carta e format elettronici non le leggerà mai nessuno.

6) Incentivare l’alternanza scuola lavoro con sgravi fiscali per professionisti e imprese che accolgono e magari assumono studenti.

7) Collegare la Scuola alle Università, alle realtà imprenditoriali e professionali locali e globali, in prospettiva di una futura “Scuola Europea” in cui docenti e studenti viaggeranno liberamente tra più poli nazionali e internazionali.

0 Tags: #7 Obiettivi, #Edizioni Scripta Moment, #Post Covid 19, #Scuola italiana
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