di Enzo Varricchio e Gaia Giancaspro

 

Le misteriose stele daunie.

Anche in Puglia c’era una Stonehenge o meglio una Carnac, una serie di pietrefitte, detta anche “allineamento” megalitico.

https://www.franciaturismo.net/bretagna/morbihan/carnac/

Però, anzichè all’aperto, questa meraviglia è all’interno del Museo archeologico nazionale di Manfredonia.

https://cultura.gov.it/luogo/museo-nazionale-archeologico-e-castello

Al Museo di Manfredonia è possibile ammirare (attenzione agli orari, l’ingresso è contingentato, meglio prenotare) le misteriose “Stele Daunie”, probabilmente un frutto tardivo della civiltà megalitica del neolitico.

Museo nazionale archeologico e Castello di Manfredonia

 

https://www.treccani.it/enciclopedia/megalitismo/

Come a Carnac, in Bretagna, lungo un territorio di una quindicina di chilometri, sono presenti numerosissimi menhir disposti in quattro allineamenti principali, una volta nella Daunia doveva esistere qualcosa di simile o, quantomeno un esteso cimitero segnato da migliaia di stele, una foresta di lunghe pietre decorate conficcate nel suolo; forse, come a Carnac, esisteva una corrispondenza degli allineamenti dei megaliti alla posizione del Sole nei giorni dei solstizi e con la posizione della Luna al sorgere e al tramonto.

Le stele daunie sono pietrefitte in pietra calcarea proveniente da cave localizzate nella parte meridionale del Gargano, databili tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del VI sec. a.C. con funzioni cultuali e funerarie, ritrovate per la maggior parte nella piana sud di Siponto, ad Arpi, Herdonia e negli altri maggiori centri Dauni dal Gargano al Subappennino e oggi conservate nel Museo nazionale di Manfredonia. Come i menhir, esse sono un frutto tardivo della civiltà megalitica del neolitico.

Sono state riscoperte solo negli ultimi trent’anni, grazie agli studi e alle pubblicazioni di Silvio Ferri, di Maria Luisa Nava e di Laura Leone.
La loro forma è davvero singolare.
Si tratta di lastre parallelepipedi antropomorfe, decorate sul lato anteriore e posteriore da incisioni colorate, con un collo sul quale, in origine, s’innestava, direttamente o tramite un perno, una testa. Sulla superficie vi sono braccia e mani, il corpo è ricoperto da un costume: un ´armatura, per le stele maschili, ed una specie di tunica cerimoniale per le stele femminili.
Dalla forma del capo e delle rappresentazioni sceniche è stato possibile identificare alcune statue-stele di figure femminili con una particolare acconciatura dei capelli (raccolti in una coda), i seni sporgenti e alcuni tratti distintivi tipici delle statue preistoriche (figure geometriche che rappresentano alcune parti del corpo).
Allo stesso modo, le immagini di armi, caccia (con la fionda, con le bolas, con il boomerang e con l’ausilio del falco e del cane) unitamente ad altri importanti attributi simbolici riconducibili allo status dell´entità raffigurata, hanno premesso di individuare
anche stele-statue di uomini o esseri al maschile.
Uomo e donna dunque: la coppia archetipo di tutte le civiltà e di quasi tutte le religioni.

 

 

Le statue-stele garganiche sono state, ultimamente, materia di studio di grande interesse e quindi soggette a numerose ipotesi interpretative, poco conosciute e, anche per questo, suggestivamente misteriose.
Nella fase immediatamente successiva al loro ritrovamento, le statue-stele furono identificate come monumenti funerari, lapidi. Ciò avvenne
sicuramente a causa della loro forma, ma forse anche per l´enorme quantità di esemplari ritrovati. Ce ne sono pervenuti, infatti, più di 1500, ma sfortunatamente, non sappiamo con certezza quale fosse la loro posizione originale (se nei pressi di un luogo di sepoltura, ad esempio) perché dopo il declino della civiltà daunia, la maggior parte delle statue-stele furono riutilizzate per altri scopi.
Per meglio comprendere la complessità di questo fenomeno artistico, cronologicamente molto lontano dai gusti e dai costumi ai quali siamo abituati in ambito religioso moderno e contemporaneo, si rende necessario un collegamento (quantomeno estetico) alle statue menhir, sculture in pietra poco elaborate, anch´esse antropomorfe, di cui non si conosce il reale significato, né la vera funzione.
Le statue menhir più antiche, risalgono al V e IV millennio a.C. e si trovano in Francia, in Bretagna (Mailland, 2000).
Il culto delle pietre antropomorfe si diffuse tra la fine del Neolitico e l´Età dei Metalli, quando s´iniziò a dare un aspetto umano ad elementi naturali e a quei fenomeni percepiti come soprannaturali, rintracciandoli o scolpendoli nella pietra.
Nel Paleolitico superiore e nel Neolitico il soggetto umano era stato ritratto su statuine esclusivamente femminili (le veneri paleolitiche e le varie iconografie della dea madre neolitica), mentre con l´avvento dell´età del Rame e poi del Ferro s´intensificarono le figure maschili, rarissime, quasi inesistenti, prima di allora, segno di una graduale trasformazione sociale e religiosa che assecondava il sorgere di aggregazioni sempre più gerarchizzate e belligeranti.

In questo contesto, dedicato alla scoperta dei santuari e luoghi di culto nella Puglia giubilare, ci interessa soprattutto l´aspetto interpretativo della pietra da parte di questi nostri antenati, con i quali, molto probabilmente, condividiamo paure e speranze legate all´aldilà o più semplicemente alla spiritualità, che ci permette di sentirci parte di un universo (un Dio, se si vuole), arcano e manifesto allo stesso tempo.
L´interpretazione delle statue-menhir si basava sulla pareidolia, la tendenza istintiva a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate.
Tale associazione si manifesta in special modo verso le figure e i volti umani (che spesso ci capita di scorgere nella forma delle nuvole, degli alberi, dei sassi).
Le ondulazioni e le asperità delle pietre possono assumere, a volte, aspetti antropomorfi (riconosciamo gli occhi, il viso, parti del corpo).
Ritroviamo la pareidolia in moltissime espressioni dell´uomo preistorico, in tutti i continenti del mondo in cui egli ha vissuto, in aree circo-scritte, ma sorprendente-mente lontane fra loro, sparse tra Europa, Asia e nord d’Africa (si pensi al Nabta Playa in Egitto, un grande complesso megalitico risalente al V millennio a.C. che appare orientato secondo i punti del sorgere e del tramontare del Sole in determinati periodi dell’anno.
La produzione di statue-stele e statue-menhir rappresentò, nell´Età del Rame, una tappa miliare nella storia dei simulacri sacri di tutte queste aree.
In Europa si contano più di 600 monumenti megalitici distribuiti tra Spagna, Portogallo, Francia, Svizzera, Italia, Ucraina, Crimea e Caucaso. Tra i più importanti in Italia segnaliamo quelli dell´area Alpina e Ligure, in Sardegna, Puglia (a Sterparo) e a Vado all´Arancio in Toscana.
Dell´Età del Ferro abbiamo i gruppi di stele Villanoviane (Emilia Romagna), Felsinee (Etruria), Picene (Italia centro-adriatica), Daunie e di Monte Saraceno (Puglia) ed alcuni monumenti della Lunigiana (a cavallo tra Liguria e Toscana).
Si è trattato, quindi, di un fenomeno assai diffuso e ampliamente consolidato. Si tenga conto che le statue-stele e le statue-menhir sono state spessissimo ritrovate a gruppi localizzati in luoghi ameni, protettivi e muniti di approvvigionamento idrico, come sorgenti, fiumi, boschi e valli fluviali (in Puglia nel vallo subappenninico), non lontano da importanti tappe di transito migratorio.
Difficile asserire con certezza quale slancio abbia ispirato questa particolare manifestazione dell´uomo (che chiamiamo per consuetudine) primitivo, archetipo, antenato.
Molto più semplice è immaginare che il suo essere, già corredato di sogni, immagini e proiezioni fuori dal proprio corpo (dal suo io) lo abbia spinto all’erezione di statue-menhir e statue-stele nel tentativo di comunicare, forse celebrare (un funerale o l´inizio di una stagione dell´anno) e magari segnalare, nel tempo, anche la sua presenza spirituale, unitamente a quella materiale.

 

La dea dei papaveri

Statuetta della divinità cretese dei papaveri, del sonno, della magia.

Alcuni recenti studi sulle stele daunie hanno sollevato, inoltre, una tesi estremamente interessante sul probabile uso, da parte dei Dauni, del papavero da oppio (papaver somniferum) e dei suoi effetti curativi, sedativi e narcotico-stupefacenti (Laura Leone, 1995, Oppio. Papaver somniferum.)
Contrariamente a quanto si pensa, il papavero non si incontra soltanto nelle montagne asiatiche. È abbastanza comune anche in Europa, laddove ci sono gli stessi terreni calcarei. Si tratta di una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia Papaveraceae.
La sostanza lattiginosa secreta dalla tipica capsula seminifera che caratterizza il genere Papaver, estremamente diffusa soprattutto nel Sud, veniva in passato utilizzata nella medicina popolare per curare la tosse, lenire le coliche intestinali nei lattanti e tenere calmi i bambini irrequieti quando i genitori lavoravano nelle campagne (comunemente chiamata papagna). Si estrae dalle capsule ancora verdi, ed è ricca di alcaloidi, quali: morfina, narcotina, codeina, eroina, genera uno stato di semi insensibilità al dolore e alla paura, a seconda delle dosi, e dovette essere utilizzata per affrontare i pericoli e le ferite della caccia e della guerra.
Affidandoci all´ipotesi interpretativa dell´archeologa e ricercatrice Laura Leone, ritroveremo spessissimo l´ideogramma del papavero inciso sulle stele-lastre (soprattutto e quasi esclusivamente femminili).
Più in generale, il mondo narrativo che si esprime nelle raffigurazioni decorative racconta storie di vita passata, secondo gli usi e le credenze dell´VIII, VII e VI sec. a. C.

Ancora più interessante è la indicazione che nella Daunia delle stele vi fossero persistenze culturali cretesi.

Come detto, una statuetta d’argilla trovata a Gazi sull’isola di Creta rappresenta la dea del papavero adorata nella cultura minoica mentre porta i baccelli della pianta, fonte di nutrimento e di oblio, incastonati in un diadema. Appare dunque probabile che la grande dea madre, dalla quale derivano i nomi di Rea e Demetra, abbia portato con sé da Creta nei Misteri Eleusini insieme al suo culto anche l’uso del papavero, ed è certo che nell’ambito dei riti celebrati a Creta, si facesse uso di oppio preparato con questo fiore.

Grazie alla lettura delle stele-statue e allo studio approfondito delle immagini rappresentate possiamo ricostruire i vari aspetti della vita del popolo dei Dauni: la vita sociale, le abitudini, la tecnologia del tempo (imbarcazioni, corazze, elmi, scudi e spade, strumenti musicali), ma anche credenze ultraterrene e desiderio di trascendenza (processioni, liturgie e cerimonie iniziatiche).
Numerose sono le rappresentazioni del mondo animale: pesci, uccelli d’acqua e di terra, foche, cinghiali, cervi, lepri, canidi e cavalli, probabilmente il reale scenario della laguna tra Siponto e Salapia.
Se le stele maschili possiedono un forte carattere marziale e celebrano la forza virile, quelle femminili sembrano piuttosto ispirate ad esseri in grado di gestire l´ambito della medicina, del benessere fisico, del soprannaturale (come probabilmente veniva percepito l´effetto anestetico del papavero da oppio).
Come si è detto, l´ideogramma del papavero si presenta ripetutamente in varie statue-stele e sotto diverse forme: come pendenti circolari e sferici appesi alle cintole, fermacapelli ed elementi decorativi, che partendo dal grafema base in forma di cerchio, si impreziosiscono di volta in volta degli elementi propri alla pianta: il peduncolo, i petali, la corolla e le foglie.
Questi elementi sono meno frequenti nelle rappresentazioni grafiche.

Essi erano, difatti, di gran lunga meno importanti rispetto alla capsula-cerchio, in cui risiedeva il prezioso lattice bianco dell´oppio.
Conosciamo bene la diffusione e l´utilizzo dell´oppio presso i popoli antichi. Si pensi alla Dea Cerere presso i romani in epoca imperiale, divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, i cui simboli distintivi, furono spesso fasci di spighe di grano e papaveri secchi o, ancora, alla citata  statuetta di terracotta dell´idolo di Gazi (circa 1350 – 1250 a.C.), ritrovato a Creta, con spilloni infissi nel copricapo: sono ben evidenti le capsule del papavero con le tipiche incisioni verticali che testimoniano l’applicazione di tecniche di rac-colta dell’oppio.
Sembrerebbe, dunque, che oltre a farne largo consumo, questi popoli, compresi i Dauni, avessero sviluppato un vero e proprio culto per il papaver somniferum, accostandolo a divinità protettrici e rappresentandolo in varie forme artistiche.
Anche i Dauni sembrano averci lasciato chiare testimonianze del loro rapporto di idolatria con il papavero, non solo nei numerosissimi grafemi che lo ritraggono sulle Statue-Stele, ma anche in alcuni elementi decorativi di olle (recipienti) dipinte a mano, nelle quali si delinea una figura vegetale antropomorfa, senza arti inferiori, ma con una specie di tronco ben piantato nella terra. Accanto a lei vi è una figura femminile (con capelli raccolti in una coda e due triangoli per la forma del corpo), alla quale era probabilmente affidato il compito di somministrare, secondo esperto dosaggio, la bevanda miracolosa: la dea dei papaveri, forse una funzione della Dea Demetra e, comunque, una grande divinità mediterranea.

 

Museo Archeologico Nazionale e Castello di Manfredonia

Il Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, ospitato all’interno del Castello svevo, custodisce i reperti archeologici più noti e significativi del territorio della Capitanata e dell’area garganica, tra cui le stele daunie.

Il maniero fu costruito nel XIII secolo per volontà di Manfredi di Svevia, figlio dell’imperatore Federico II, a difesa del nuovo abitato costruito per accogliere gli abitanti della vicina Siponto, diventata inospitale a causa dell’impaludamento e delle guerre.

http://musei.beniculturali.it/musei?mid=5365&nome=museo-nazionale-archeologico-di-manfredonia

 

Dello stesso Autore dell’articolo:

https://www.scriptamoment.it/author/enzo-varricchio/

 

PH: stele daunie da https://cultura.gov.it/luogo/museo-nazionale-archeologico-e-castello

Sitografia:

Stele Daunie
www.statoquotidiano.it
Statua-Stele di Sterparo (FG) Eneolitico, 2500/2000 a.C. www.frru2.altervista.org
Stele decorata con papaveri www.artepreistorica.com
Idolo di Gazi, particolare www. culturasalentina.wordpress.com
Frammento di olla da Salapia; (destra) e frammento di olla di un ipogeo di Herdonia. https://www.retegargano.it/2022/07/24/il-culto-delloppio-fra-i-dauni-della-puglia/

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