Angelo O. Pregoni

 

di Dunia Elfarouk

 

Angelo Orazio Pregoni è un moderno istrione. Aria velata di mistero, sguardo indirizzato all’interlocutore ma anche rivolto ad un luogo assente, ad un elemento invisibile non ben precisato: gli odori, le fragranze, i segreti celati nelle essenze che gli individui portano con sé sono le presenze non palpabili che egli rincorre, coglie e coltiva durante qualsiasi tipo di rendez-vous ed evento creativo, ma soprattutto nella sua personale costante ricerca artistica. Non consideratelo distratto, pertanto, quando, dinanzi a voi, sembrerà guardare altrove e abbandonarsi nelle sue assenze, considerate piuttosto, la sua, un’attenzione vivace pluridistribuita.

Performer, autore, intrattenitore di intelletti nel suo spazio creativo multifunzionale, ideatore di fragranze e di audaci concetti, soprattutto genio e fucina inarrestabile di questi ultimi attraverso i più inaspettati deliri olfattivi visivi e tattili. Un eclettico compendio di visioni, quindi, e trasfigurazioni del possibile verso l’irriverenza dell’impossibile.

Vi colpirà la tenacia con cui Pregoni incide, con ogni attività che lo rappresenta, il ritratto satirico e tagliente di una contemporaneità per tanti versi avvilente, di cui, non a caso, vuole farsi flusso di pensiero controcorrente. In un contesto postmoderno autolesionista che alla creazione sostituisce la provocazione vuota simile a disfatta del pensiero, si fa largo l’idea di Angelo: delle vie creative sceglie quella contraria al senso comune ma caparbiamente costruttiva.

Sia da subito precisato che la sua non è una presa di posizione aprioristica, ma un vero e proprio stile di vita che racchiude una naturale inclinazione agli estremismi estetici, senza mai deragliare nel kitsch. Il sacro e il profano si incontrano, si sfidano evitando senza sforzo il blasfemo o l’oltraggio. In particolare, nel romanzo di cui è autore, “Il Vangelo secondo gay”, tratta di tematiche che si direbbero scomode: la religione, l’omosessualità, la superstizione; rende commensali di un’ipotetica ultima cena personaggi controversi del contemporaneo, così rilegge il sacro, i costumi e le mitizzazioni astraendosi, tuttavia, dal ricorrere a soluzioni critiche, bensì proponendo un nuovo ironico modo di leggere la storia dell’Umano e del singolo.

Nella più recente performance milanese “Please don’t touch me” dello scorso 20 giugno, presso lo spazio Alzaia, l’autore opera coerentemente con la sua evoluzione immaginifica secondo moduli da un lato psicomachiaci dall’altro apocalittici. Inquieto e inarrestabile, anche questa volta, mette in evidenza vizi e virtù di un’epoca ambigua forzatamente reazionaria ed esteticamente profondamente corrotta.

Come in una moderna “Gerusalemme liberata” e, quindi, nelle vesti di un rinnovato Orlando (certamente) furioso, entra trionfando nelle menti di spettatori e fruitori dei suoi prodotti artistici, accompagnato da una personalissima visione di donna tratteggiata a pulsazioni pittoriche su tela e dalla stessa donna musa che ha mosso la visione esposta; lo fa, però, senza ammantarsi della vanagloria del vincitore.

Il tizzone rovente del suo ingegno si esprime in diversi campi. In quest’ultima sede milanese interagisce con la pittura quale naturale prosecuzione di un cammino creativo  complesso e di caleidoscopica fisionomia: opera pittorica, musa e autore stesso si esprimono nella medesima scena come unico strumento a tre dimensioni, il cui scopo è approfondire e cogliere il reale, offrirne  versione contraddittoria e plurisfaccettata.

Si consideri, ad esempio, che la pittura trova completamento, in sede di performance, attraverso la deposizione alchemica di fragranze e componenti alimentari inaspettate (tra le svariate, persino la popolare bevanda energetica Red Bull). Non ci si meravigli, dunque, delle deviazioni imprevedibili che l’impulso creativo dell’artista pone in essere.

In questo contesto pan-sensoriale nessuna distanza esiste tra autore e materia, laddove egli si fa testimone dell’altrui femminile spoglia corporeità, che è matrice erotica e radice assoluta dell’arte stessa.

Ci insegna, in sintesi, Angelo Orazio che tutto ciò che è autentico si presenta letteralmente nudo e fisicamente profanatore di dogmatiche vuote verità. Orbene, come un’antologia carnale attraversata da un filo conduttore comune, ovverosia l’Umano rappresentato dalla vita stessa e, pertanto, corroborato dal principio di realtà cui ha origine e si riferisce, si delinea  nell’intera opera di Pregoni una sfida sensuale ed estetica, una profetica allegoria delle sorti del contemporaneo divenire.

 

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