di Manuela Latrofa

 

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. (Il Gattopardo, G. Tomasi di Lampedusa)

E’ da qualche tempo in terra pugliese che soffia un vento di cambiamento.

La terra rossa, il mare schietto e la cucina sublime sono ancora qui, ma a frequentarli non ci sono più soltanto gli anziani del luogo, i bambini, gli amici di sempre e i soliti “visi conosciuti”. In giro si sentono inflessioni stonate e voci straniere. I prezzi lievitano, gli eventi spopolano e anche i luoghi più reconditi diventano accessibili.

Qualcosa cambia e la nostra terra si predispone ad accogliere qualcun altro: l’estraneo, il turista e lo straniero. Nonostante l’immensa lusinga data dal riconoscimento esterno del valore del “nostro” territorio, delle “nostre” tradizioni e della “nostra” cultura, la parte primordiale di noi si attiva per prepararsi a difendersi dalla minaccia che qualcosa possa modificarsi facendoci perdere una parte della nostra identità.

L’identità è qualcosa che consente agli individui di distinguersi dagli altri, affermando con continuità e coerenza la propria unicità rispetto a qualcosa/qualcuno ritenuto altro da sé. Essa non è solo definita da caratteristiche personali ma anche da caratteristiche sociali: ossia le relazioni, i valori, le tradizioni e il territorio in cui si è inseriti. Il territorio in qualche modo diviene, così un’estensione della nostra persona, del nostro modo di essere, qualcosa che ci appartiene intimamente seppur evidentemente esterno.

Il nostro territorio che cambia è portatore di una minaccia di frammentazione a livello egoico. Il timore è che qualche accadimento fuori dal nostro controllo possa snaturarci, omologarci così da perdere il nostro valore. E’ questo il timore che manifesta Anna Spero nel suo articolo “Difendere le radici”.

Le paure non arrivano mai per caso, esse sono foriere, se ascoltate, di informazioni importanti atte a suggerire piani di azione. La paura ci prepara ad un pericolo, in questo caso una minaccia e ci mette di fronte alcune possibilità in base alla situazione che viviamo, l’attacco, la fuga o la “paralisi”. Il cambiamento in corso però non è del tutto chiaro ad un’analisi attenta, non siamo certi che possa portarci ad una perdita di valore, a snaturarci.

Allora cosa possiamo fare?

Definire chi siamo.

La soluzione ad una minaccia dei nostri confini che siano tangibili o intangibili si combatte attraverso la  l’affermazione di se stessi del proprio essere, delle proprie scelte, dei propri valori partendo da una profonda conoscenza e consapevolezza di sé. Non con rigidità, chiusura e stasi. L’identità non è uno stato è un processo di definizione. Ogni cambiamento va accolto, integrato e trasformato e noi con lui. Possiamo utilizzare altre sfumature di colore e non sempre le stesse già sperimentate; altre risorse; altri modi di essere, esprimendo sempre noi stessi. Possiamo cambiare restando fedeli a noi stessi.

Non c’è minaccia per l’identità se si è fortemente consapevoli di quali sono gli elementi che ci rendono unici, gli elementi di cui andiamo fieri e gli elementi che ci hanno resi quello che siamo oggi. Sto parlando della storia, delle storie, delle imperfezioni. Sto parlando dell’Ilva, dei trulli, delle scogliere vertiginose, del tavoliere, dei fichi appena raccolti, delle sedie in strada per occupare il posto auto e di quelle fuori dalle porte che vendono il raccolto del contadino, delle masserie, degli ulivi che disegnano emozioni, delle burrate, delle feste di paese, delle processioni, del polpo crudo, della chiusura dei negozi a pranzo per 3 ore, di tutti quei contrasti e stonature che ci rendono profondamente e unicamente persone con il mare negli occhi.  Noi siamo Pugliesi!

 

 

 

 

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