di Giovanni Ventrelli

Il disagio pandemico e la sua declinazione reale del lockdown ci hanno regalato una nuova consapevolezza su ciò che consumiamo, su ciò che compriamo, su come mangiamo, su che cosa siamo capaci di realizzare ai fornelli domestici.

Il principale player pugliese della distribuzione organizzata ha comunicato alcuni dati significativi relativi al cambiamento dei consumi alimentari del popolo del Sud: in forte aumento, più del 20%, l’acquisto di beni alimentari non trasformati (farine, zucchero, lieviti, uova, pasta, riso); in forte calo, con punte sino al 40%, i semilavorati e i prodotti “pronti da servire”; decuplicata la rottura di stock per moltissimi beni alimentari di base, ossia prodotti per cui non c’è stata una continuità nella fornitura o di cui si è verificato l’esaurimento delle scorte, che tradotto significa:

“abbiamo consumato molto riso, ma ci siamo accontentati di non utilizzare sempre quello della nostra marca preferita”.

Questi dati, apparentemente freddi se spiegati dai soli numeri, ci restituiscono, in realtà, tutto il calore dei focolai domestici e dei fornelli delle nostre case che hanno lavorato all’impazzata per 60 giorni, facendoci compiere un tuffo nel passato più bello, quello della semplicità, della cucina di base, della tradizione nazionale e regionale dei piatti tipici.

La curiosa definizione di Francesco Pomarico, patron di Megamark, è stata

“Mi sono ritrovato a fare i conti con un carrello di 20 anni fa”.

Negli ultimi mesi stavamo già assistendo a un ritorno prepotente delle osterie come luoghi potenti di aggregazione e convivialità, in forte crescita numerica per quantità e per qualità delle scelte da offrire all’ospite.

Gli osti, i veri paladini delle produzioni di qualità, degli artigiani del gusto, della tradizione del luogo, si sono fatti portatori di questa new “old” wave enogastronomica, che ha poi trovato nel fenomeno devastante della crescita del consumo e della produzione di vini artigianali o “naturali” – come per convenzione li chiamano tutti – una delle proprie innegabili consacrazioni.

Tanto che oggi produttori del calibro di Emidio Pepe e Alessandro Dettori sono assolute star internazionali.

Riportando tutto questo a casa nostra, tra il tavolo e il divano, il tutto si è tradotto nel recupero della manualità, nella magia della lievitazione.

La fermentazione del lievito, la generazione di due pezzi da uno, l’attesa di madri e figli per la “magia del raddoppio” ha alimentato in senso letterale le nostre serate di quarantena.

Pizze, focacce, rustici ma anche semplicemente il pane fatto in casa, ci sembrano una vera e propria rivoluzione.

Noel Gallagher, citando i bed-in di John e Yoko, diceva in un suo celebre brano

“So I start a revolution from my bed” (“Così inizio una rivoluzione dal mio letto”),

mentre noi l’abbiamo iniziata dalle nostre mani e dai nostri forni a temperatura costante di 200 gradi.

Abbiamo ripreso in mano i taccuini delle madri e delle nonne, abbiamo regalato stupore a fidanzate, fidanzati, mogli, mariti, figli.

Abbiamo recuperato le nostre radici, la cultura del recupero a scapito di quella dello spreco.

Il downsizing felice, in questo caso è stato possibile.

E così il valzer di farine speciali, integrali, multicereali, macinate a pietra, d’avena, la farina 1, la farina 2.

Il profumo di tostatura della crosta delle nostre focacce, la friabilità del primo morso, la naturale untuosità del panzerotto fritto in casa, un fenomeno inedito.

L’oblio della frittura in casa, vietata per molto tempo da un decreto senza numero e data, è una delle grandi tradizioni del recupero degli sprechi alimentari dei nostri avi, per cui a 180 gradi in olio tutto diventava buono, croccante, succulento.

Siamo così tornati a sentire il rumore distinguibile del friggìo delle nostre pentole.

Abbiamo riscoperto persino il momento sacrale del pranzo, consumato a tavola seduti e non in piedi con un triste tramezzino tra le mani.

Il primo piatto che, man mano, è stato sostituito dai piatti unici negli ultimi anni, è tornato in auge.

La pasta ha ripreso il ruolo di leader alimentare della famiglia.

Il 18 maggio – così speriamo – riapriranno i battenti col servizio al tavolo i nostri ristoratori.

In qualche maniera, vagamente indicata dalle autorità competenti, si ritornerà a cena nei nostri locali preferiti.

Ci auguriamo che la continuità del recupero dell’importanza della materia prima, della cucina di base, abbia fatto riflettere anche loro.

In più, è anche la strada economicamente più sostenibile.

Materia prima di territorio selezionata, poco lavorata e ancorata alle tradizioni culturali del luogo.

La creatività?

Perché no!

Basta solo che sia incanalata nello sviluppo del concetto.

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