In Italia non esiste una banca dati accessibile al pubblico dei ritrovamenti archeologici e delle campagne di scavo in corso.

Le Soprintendenze deputate lavorano silenziosamente nell’ignoranza dei cittadini di ciò su cui poggiano i piedi.

Ciò, oltre a negare un sacrosanto diritto alla conoscenza determina ricadute negative in termini di controllo sociale del patrimonio culturale di cui tutti noi siamo depositari.

Pubblichiamo, al riguardo, stralci della nota inviata il 23 novembre 2019 alla locale Soprintendenza dall’Archeoclub di Bari a firma del presidente Antonino Greco, il quale con riferimento all’occasionale rinvenimento di un insediamento  archeologico nella zona San Pietro di Bari Vecchia, lamenta che:

Appare dunque quanto meno sospetto che in occasione di ogni nuovo intervento non venga reso d’obbligo lo studio del sottosuolo sia sotto il profilo geo litologico che archeologico e non può essere giustificativo il semplice richiamo ad una generica presenza delle figure professionali per assistere solo alle attività di cantiere in fase di esecuzione dei lavori e di realizzazione delle opere.

…nelle stesse operazioni di sistemazione della Piazza San Pietro in Bari Vecchia siano stati intercettati livelli, orizzonti o strutture di interesse archeologico la cui importanza o significatività non è al momento dato sapere in assenza di una doverosa e trasparente comunicazione che di norma dovrebbe essere rivolta ai cittadini ed agli organi di informazione (stampa e televisione).

Geologi ed archeologi, infatti, devono essere messi in grado di fornire un preliminare quadro conoscitivo rispetto alle condizioni summenzionate (litologiche ed archeologiche) utilizzando metodologie e strumentazioni adeguate in grado di ridurre rischi di successive interruzioni nelle attività di cantiere per evitare interferenze con le opere già progettate che potrebbero ostacolare i successivi lavori ed in taluni casi irrealizzabili, in caso di rinvenimenti significativi ed incancellabili testimonianze archeologiche nel sottosuolo.

Insomma, l’archeologia italiana inauguri la stagione dell’Open Source.

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