di Maria Federica Dimantova

La storia della nostra terra è scritta con la pietra nella pietra.

Il mestiere dei pietrai è variegato, complesso ed arguto. Un mestiere ormai perso che ha consentito, soprattutto a partire dalla fine del XIV secolo la nascita di borghi, masserie e padronanze agresti.

L’icona architettonica della nostra regione è indiscutibilmente l’amatissimo trullo, per la sua riconoscibile e originale forma conica.

Ma con le pietre affioranti dalla carsica terra ed estratte a colpi di piccone si elevano tante costruzioni differenti, altrettanto piccine picciò, che al variare del territorio cambiano nome, ma non aspetto e fascino.

Non solo trulli: il reame delle cummerse

La valle d’Itria, passando dalle residenze a valle fino ai paesi in altura, è caratterizzata dalla presenza di abitazioni rettangolari con tetti spioventi dette “cummerse“. La più alta concentrazione la si trova a Locorodondo ma anche a Noci, dove prendono il nome di “casedde”.

Le casedde sparse nelle campagne erano, insieme ai trulli, case rifugio per contadini e pastori. Quelle invece poste una affianco all’altra nelle cittadelle, erano le abitazioni delle famiglie di ceto medio –costituito dalle maestranze artigianali- e ceto basso di cui facevano parte allevatori, braccianti e salariati.

Dal quadro sociale poco differenziato, dove il ceto nobiliare era in minima percentuale, ne deriva una omogeneità edilizia che ha comportato la fioritura inconsapevole di un panorama pittoresco ed autentico che oggi ci rende orgogliosi e famosi in tutto il mondo.

Ma questa fama è data dalla sapienza. Da un mestiere rigido ed eterno. Da un mestiere che oggi non è tramandato e che non esiste più.

U paretàre così come anche il trullaro, il cavapozzi e i fabbricatori si sono tramandati per generazioni il mestiere della pietra, ormai estinto.

Artisti senza firma hanno scalpellato con estrema bravura, una bravura che ancor’oggi, nel nostro momento di maggior successo, ci consente di sbeffeggiare e abusare tradizione.

Le nostre terre e le famose masserie, ormai depredate dalla loro essenza e protagoniste del fenomeno di “restauro uso cerimonia”, sono tutte cinte da un’estesa e geometrica ragnatela di cordoni grigi, arabescati da muschi e licheni.

Signore e signori sua maestà il muretto “a secco”

Perché si chiami così è ormai un dato conosciuto. I muretti detti anche “parieti” sono mura erette semplicemente da un incastro secco e sapiente delle pietre del territorio, senza l’utilizzo di materiali leganti.

L’origine del metodo e soprattutto la ragione non è altrettanto scontata.

Non si tratta di una scelta dovuta all’assenza di materiali e non si tratta nemmeno di una scelta meramente stilistico-architettonica dei costruttori dell’epoca.

Si tratta di una scelta precedente al concetto borghese di proprietà.

La struttura dei muretti a secco, infatti, indicava generalmente il possesso temporaneo di una porzione di territorio, spesso di terreno vero e proprio.

Dopo il raccolto, infatti, i parieti che cingevano la coltivazione venivano diroccati. L’assenza di malta si adattava a questa precarietà, consentendo il veloce recupero dei materiali che potevano essere accumulati e reimpiegati successivamente.

Solo dopo il processo di modificazione dell’ambiente naturale, legato ai meccanismi insediativi delle masserie e alle forme di sfruttamento del territorio, i muretti a secco divennero la formula di recinzione delle proprietà prima della Murgia Sud-Orientale e poi della terra d’Apulia nella sua interezza.

La manodopera di queste mura ha perso il made in Puglia. Oggi i mastri sono targati Albania ed e solo grazie al loro lavoro e alle loro mani che tutte le ristrutturazioni possono prendere o ridare vita.

Siamo così sicuri di poterci vantare delle nostre tradizioni se per mantenerle in vita dobbiamo attingere a sapienze altrui?

Eppure la costruzione dei muretti a secco dovrebbe allettare dato che è molto ben pagata e, per la cronaca, non si tratta di un mestiere che richiede forza fisica, ma solo pazienza ed ingegno nel saper ben incastrare le chiancarelle fra loro.

E’ proprio il caso di dire che del cosiddetto “paretàre” siamo rimasti noi a secco!

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