di Enzo Varricchio

 

Terminato il tempo della raccolta, sparse le semenze, la terra entra nella fase letargica, nel sonno buio dell’inverno, dal quale si ridesterà a primavera. Durante i primi giorni di novembre, si continuano le semine di numerosi ortaggi e cereali. Prosegue la raccolta e molitura delle olive da olio. Si inizia il raccolto delle mele cotogne e il mosto d’uva si tramuta in vino.

Secondo le tradizioni popolari, tale ultimo fenomeno avverrebbe nel giorno consacrato a San Martino, l’11 novembre.

Il santo protettore dei soldati, dei viandanti, della gente di chiesa, dei soldati e dei cavalieri, dei viaggiatori, degli osti, è considerato protettore pure dei vendemmiatori (nota 1) . Le usanze europee connesse con il nome di San Martino dipendono in gran parte dalla posizione calendariale della sua festa, che cade nell’autunno avanzato, periodo della svinatura, tempo di abbondanza dopo tutti i raccolti ultimati e, nello stesso tempo, momento di cambiamento climatico.
La consuetudine di festeggiare l’11 novembre ha però radici antichissime.
La festa di San Martino, secondo alcuni studiosi (nota 2) si connette al Capodanno celtico (Samuin) che si celebrava nella prima decina di giorni di novembre e simboleggiava il passaggio al nuovo anno agrario, la morte e la rinascita delle forze naturali. I Celti festeggiavano l’inizio dell’anno al momento in cui i semi appena sparsi cominciano il loro ciclo metamorfico negli inferi, dai quali risorgeranno trasformati in piantine.
San Martino di Tours (nacque a Sabaria, in Pannonia, nel 316 d.C. circa – morì a Candes, Touraine, nel 397), considerato padre del monachesimo occidentale, fu nell’alto Medioevo il santo più popolare dell’Occidente, soprattutto in Francia, dove la sua famosa mantella o cappa (chape in francese, da cui chapelle = cappella reale in cui era conservata) divenne una specie di vessillo nazionale.
Originario della Pannonia inferiore, antica terra celtica (nell’attuale Ungheria), dopo la morte a Candes, il suo corpo fu condotto a Tours, capoluogo della Touraine, ove i funerali si tennero l’11 novembre tra ali di folla. La tomba fu sistemata all’interno della cattedrale costruita in suo onore nella cittadina francese, che divenne (ed è ancor oggi) centro di studi universitari valentissimi. I pellegrini che si recavano presso il sepolcro si immergevano in un bacino d’acque terapeutiche e raccoglievano l’olio dalle lampade votive della chiesa, considerandolo taumaturgico (nota 3).
La figura di Martino si diffuse soprattutto nel mondo rurale europeo, a causa del lavoro di evangelizzazione delle campagne, compiuto dal santo durante la propria vita (nota 4).

Sia in Italia (tacchino, cicerchiata), sia altrove (nordeuropa: oca, dolci speziali) la festa di San Martino è celebrata nelle campagne con la consumazione di cibi particolari.

Essa comporta cerimonie tipiche di “capodanno”, cioè di cambiamento stagionale (si pensi all’”estate di San Martino” e al detto “a San Martino si veste il grande e il piccino”). In passato, nel giorno di San Martino, iniziava l’attività forense, quella scolastica e il lavoro dei parlamenti, si pagavano fitti e pigioni, si traslocava (nota 5). Si tenevano libagioni e fiere, rallegrate con fuochi e bevute di vino, si portavano al mercato i buoi da vendere, usanza da cui forse deriva l’apocrifo patronato del Santo sulle persone tradite in amore. Probabilmente, gli uomini festeggiavano le compravendite di detti animali cornuti andando per taverne a ubriacarsi di vino novello, lasciando a casa le mogli  e sovente cornificandole nei postriboli. Oppure potevano essere le consorti a rallegrarsi della programmata assenza degli ignari mariti.

Ben più significativa è la tradizione per cui il Santo portava doni ai bambini, scendendo dalla cappa del camino e, quando erano stati monelli, lasciava in casa una frusta, detta in Francia Martin baton o martinet. La consegna di doni ai fanciulli è un atto caratteristico di alcune figure, i “Dona ferentes“, che ricorre nel periodo dell’anno che va dai primi di novembre ai primi di gennaio.

In passato, l’atto del donare rappresentava un modo per ingraziarsi le potenze della vita e della morte prima della lunga notte invernale. I bambini erano considerati il mezzo per comunicare con i defunti.

La biografia di San Martino, a metà strada tra storia e leggenda è segnata da eventi eccezionali. Egli fu istradato alla vita militare dal padre, a sua volta soldato, che lo consacrò al dio latino della guerra (Martino = piccolo Marte). Divenne cavaliere, si distinse per coraggio e sagacia. Si convertì al cristianesimo dopo l’episodio mitico della donazione del mantello al povero seminudo ma non poté coronare subito il suo desiderio di farsi monaco perché la stessa chiesa e l’opinione pubblica non vedevano di buon occhio il fatto che un militare entrasse a far parte del clero (nota 6).

Nel 354 partecipava alla guerra sul Reno, al servizio dell’imperatore Costanzo e contro gli alemanni.

Prima della battaglia Martino rassegnò le proprie dimissioni dall’esercito. Il comandante lo accusò di viltà. Martino rispose che avrebbe combattuto da solo e armato del simbolo della croce. L’indomani era sul campo ad attendere il nemico. Ma accadde l’imprevisto: invece di attaccare, gli avversari inviarono degli ambasciatori di pace e di resa. Stupito e ammirato, il generale concesse a Martino il richiesto congedo.

Tra il 350 e il 355 Martino si recò a Poitiers, dal vescovo Ilario, presso il quale svolse il delicato ruolo di esorcista. Una carica poco ambita ma che prevedeva una conoscenza iniziatica e una notevole familiarità con le cose di Dio e del demonio. Fondò poi a Ligugé il più antico monastero europeo. I miracoli di San Martino vengono narrati dai suoi biografi, i più attendibili dei quali sono i suoi contemporanei Sulpicio Severo e Paolino da Nola.

Un globo infuocato (simbolo di potenza solare) si poggiò sul suo capo mentre stava celebrando una messa. Straordinarie furono le sue doti di taumaturgo, da paragonarsi a quelle di San Nicola di Myra. Resuscitò un catecumeno ed uno schiavo che si era impiccato. Ridonò la parola a una donna muta di Chartres (gli fu dedicata una delle celebri vetrate della cattedrale del luogo). Il suo biografo Paolino di Nola fu protagonista diretto di un miracolo: Martino gli restituì la vista. Il santo sottomise un orso bruno che aveva divorato un asino (figure animali che simboleggiano le forze infere). Il diavolo in persona tentò di contrastarlo senza successo. Una leggenda testimonia il legame tra il santo e la terra: mentre stava passando per Augune, nel vallese, vide l’erba bagnarsi di sangue proveniente dal suolo, secondo alcuni sgorgato dal luogo del martirio di San Maurizio (allegoria della compenetrazione tra il mondo inferiore e quello superiore, tra la natura animale ed umana e quella minerale, degli stadi o stati dell’Essere).

Gli abitanti di Tours, probabilmente attratti dalla fama dei suoi poteri miracolosi, pur di averlo a capo della loro diocesi, inviarono due sicari a rapirlo.

Divenne vescovo il 4 luglio del 371. Protettore degli umili, si dedicò all’opera di evangelizzazione dei territori pagani. In particolare, fece abbattere gli alberi (nota 7) sacri ai Celti, una azione simbolica comune ad altri santi (nota 8), che conferma da un lato l’esigenza di stroncare le resistenze idolatriche, dall’altro la necessità di trasferire nel santo il patrimonio simbolico della cultura pagana, senza creare forti traumi nella popolazione (nota 9). La sovrapposizione di una figura di santo a un nume pagano e la costruzione di una chiesa laddove era una volta l’ara sacrificale è un fenomeno che rientra nella strategia dei “furti sacri” teorizzata da Sant’Agostino e applicata sovente dalla chiesa dei primi secoli.

 

Alfredo Cattabiani riporta che un giorno alcuni contadini, per vendicare il sacrilegio commesso contro gli alberi sacri (simboli assiali o polari nelle antiche culture) legarono Martino al tronco di un pino, che poi segarono, convinti che avrebbe travolto il profanatore nella caduta; ma la pianta cadde miracolosamente in senso opposto, schiacciando i persecutori.

San Martino godette di una stima semidivina. In Veneto era chiamato “re divino”. In effetti, la studiosa Margarethe Riemschneider sostiene che egli avesse preso il posto di una divinità celtica venerata in Pannonia; un dio cavaliere del mondo infero terrestre, un nume della vegetazione, considerato garante del rinnovamento della natura dopo la “morte” invernale. E’ più esatto forse ritenere che si trattasse di una divinità solare. Uno dei suoi attributi simbolici era la ruota (simbolo del sole e del ciclo cosmico), cavalcava un cavallo nero e indossava una mantella di egual colore. Il nero esprime la forza della materia primordiale, della terra negra (la Al Kemi egizia) e la mantella finì per coprire le spalle anche di San Martino, santo cavaliere e guerriero.

Celeberrimo e raffiguratissimo nell’iconografia è l’episodio in cui Martino dona la metà inferiore della cappa (nota 9) al mendico incontrato per la via. L’ideologia iconografica cristiana doveva modificare il rapporto di Martino con gli inferi che, mentre nelle culture pagane erano visti semplicemente come l’altra faccia del mondo superiore, nella religione cristiana divennero il luogo della dannazione. Per questo motivo, il mantello di Martino divenne bianco e il santo fu impegnato in aspri combattimenti col diavolo, come attestano molte leggende. Per inciso, la cappa è rimasta uno degli oggetti tipici della cavalleria (nota 10). Il mantello, copertura dai rigori invernali, inquadra esteriormente la figura umana in modo globale, facendola apparire maestosa. In passato era diffusa la credenza che qualcosa dell’”aura” di chi indossa il mantello si trasmettesse allo stesso indumento e a chi lo utilizzava in seguito (nota 11). La cappa è simbolo inoltre di protezione e, nella psicologia del sogno, alla figura del mantello si associa la qualità di scaldare e celare (nota 12) .
L’oca, servita a tavola nei paesi nord europei, è un elemento ricorrente nell’iconografia di San Martino. Il suo primo biografo, Sulpicio Severo, narra che il santo riteneva questo animale un messaggero demoniaco. Si rammenti che oche sacre e intoccabili, ritenute dai Celti messaggere dell’altro mondo, accompagnavano i pellegrini pagani ai loro santuari.
Il culto del santo si diffuse velocemente anche in Italia (nota 13). San Benedetto consacrò a Martino il tempio una volta dedicato ad Apollo (dio solare), sulla vetta di Cassino. A Roma fu il primo santo non martire ad essere venerato (basilica di San Martino ai Monti, sull’Esquilino). Ad Assisi la sua storia è narrata nella prima cappella a sinistra dagli affreschi di Simone Martini. A Milano, nella basilica di Sant’Ambrogio, vescovo che lo conobbe e gli fu amico (nota 14) , il patrono milanese viene raffigurato mentre partecipa alle esequie di Martino a Tours. Il vescovo Felice, a metà del VI secolo, dedicò a Martino la cattedrale di Belluno. Di particolare interesse è il carnevale di Point – Saint-Martin, località in Valle d’Aosta il cui toponimo deriva da un episodio miracoloso. Il vetusto ponte ligneo, unica via di accesso al paese, fu distrutto da una piena del fiume Lys. San Martino patteggiò col diavolo la ricostruzione del ponte in cambio dell’anima del primo passante sul ponte stesso. Il demonio accettò la proposta e si diede alla ricostruzione. Terminata l’opera, pretese la ricompensa pattuita. Ma fu beffato. Il primo a passare sul ponte fu un malcapitato cane. Ogni anno, nel periodo di carnevale, gli abitanti di “Ponte San Martino” ricordano l’episodio con un corteo, giuochi e una sfilata di carri allegorici. Al termine della cerimonia il pupazzo con le fattezze del diavolo viene incendiato e gettato nel fiume.

La città italiana che porta il suo nome è Martina Franca (TA)
Il nome della città, perla del Barocco di impronta leccese ma con uno stile inconfondibilmente locale, deriva dal Santo patrono San Martino, festeggiato l’11 novembre e la prima domenica di luglio.

La Basilica di San Martino, eretta nella seconda metà del Settecento, sul luogo ove sorgeva la precedente collegiata romanica, è un magnifico esempio del Barocco martinese. Sulla maestosa facciata spicca centralmente la scena del Santo che divide il mantello con un mendicante ad Amiens.

La tradizione vuole che il Santo sia più volte corso in aiuto dei cittadini, proteggendoli in varie occasioni dalle invasioni barbariche e dall’assalto del nemico, in particolare nel febbraio del 1529, allorquando un agguerrito esercito, al comando del Marchese del Vasto, si rivolse prima contro Noci saccheggiandola, poi contro Martina Franca, nella speranza di un facile e ricco bottino. La leggenda martinese racconta che il nemico fuggì terrorizzato dall’apparizione, sulle mura della città, di schiere di terribili cavalieri comandati da San Martino a cavallo del suo destriero e con la spada sguainata.

La leggenda presenta singolari somiglianze con l’epifania di San Severino a San Severo, a riprova che le vite dei santi procedono da canovacci comuni in una sorta di “morfologia della fiaba” di Propperiana memoria. Sia Martino che Severino erano due santi guerrieri e la loro storia si è costruita in modo similare.
Martino di Tours, nato nel 316 ca. a Sabaria, nell’attuale Ungheria e morto nel 390, a Candes-Saint-Martin, è sepolto nella cattedrale di Tour, di cui fu Vescovo dal 371 al 390. È tra i fondatori del monachesimo occidentale e uno dei patroni di Francia. Il suo nome, voluto dal padre comandante militare, significa “piccolo Marte” a destinare la sua vita all’arte della guerra. Ma Martino presto mostrò di interpretare il suo ruolo di prode cavaliere alla maniera cristiana, risparmiando la vita ai nemici, evitando battaglie e prodigandosi per i poveri e gli oppressi.
In Italia il culto del Santo è legato alla cosiddetta estate di san Martino la quale si manifesta, in senso meteorologico, all’inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari.
In molte regioni d’Italia l’11 novembre, data della sua festa, è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino”).

 

 

NOTE

1 – Celebre il detto pugliese: A Sande Martéine ogni mmuste jè vèine (a San Martino tutto il mosto diventa vino). Numerose sono le sagre del vino nei Comuni pugliesi. Famosa è quella di Sannicola (Le) nel giorno consacrato al santo. In piazza, al suono della fisarmonica, si mangiano le “Pittule” (frittelle) e le “mpille” (pani con zucchero, cipolle e olive), i ceci e le fave arrostite sulla brace; il tutto innaffiato da buon vino novello.
2 – v. ampiamente, A. Cattabiani, Calendario, Rusconi, 1988.
3 – un po’ come avviene per la manna di San Nicola di Bari, altro liquido dalle proprietà miracolose.
Il cristianesimo fu inizialmente un fatto urbano. Alla fine dell’Impero Romano la parola “pagano”, cioè contadino (in latino pagus significa “villaggio”), era diventata un modo per appellare i fedeli alla religione politeista. Solo a partire dal VI secolo, la Chiesa riuscirà ad estendere l’influenza del cristianesimo nelle campagne, erigendo le pievi, piccole chiesette rurali. Martino fu l’antesignano di tale penetrazione cristiana nel mondo agricolo.
4 – ancora oggi si dice “far San Martino” per traslocare.
5 – in questo senso, possiamo dire che Martino fu un cavaliere “templare” ante litteram. Durante l’epoca della fondazione delle cavallerie crociate (sec. XII) i ruoli di cavaliere e di monaco furono resi compatibili, allo scopo di difendere i pellegrini che si recavano in Terrasanta
6- possiamo ritenere che, agli albori della civiltà, i culti stagionali venissero celebrati proprio dinanzi agli alberi, considerati manifestazione della divinità.
7 – anche San Nicola devasta gli altari pagani edificati intorno agli alberi sacri. L’albero è rimasto uno dei simboli natalizi (v. postea).
8 – In altra area geografica, più o meno nella stessa epoca, San Nicola di Myra abbatteva gli alberi consacrati alla dea Artemide-Diana ma conservava alcune caratteristiche mitopoietiche di questa divinità femminina della terra.
9 – le scene che raffigurano il taglio in senso verticale sono errate poichè il cavaliere non avrebbe potuto portare la clamide o cappa come un lenzuolo, altrimenti i movimenti ne sarebbero stati impediti.
10 – basti pensare alla clamide bianca e rossocrociata dei cavalieri Templari, bianca e nerocrociata dei Teutonici, nera e biancocrociata degli Ospitalieri, bianca e verdecrociata dei cavalieri di San Lazzaro.
11 – Lo scolaro Eliseo indossa il manto del profeta Elia, per ripetere il miracolo della divisione delle acque del Giordano. Molti santi cristiani (tra i quali, San Francesco) avrebbero traversato le acque con l’aiuto del loro mantello.
12 – Secondo l’interpretazione esoterica, il mantello è come il velo di Maya o di Iside, atto a nascondere ermeticamente le verità segrete, celate dietro la coltre dei simboli.
13 – Il culto di Martino è diffusissimo. Sono 260 in Francia e 143 in Italia i comuni o frazioni intitolate al nome del santo. Il santo vanta chiese e località a lui dedicate in Ungheria, sua patria d’origine, in Austria, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e, persino, negli Stati Uniti. Dall’Europa settentrionale il culto di San Martino raggiunse anche la Puglia, ove molte chiese portano il suo nome. Tra tutte, è arcinota per la sua bellezza la Collegiata di San Martino (1737), nella ridente cittadina barocca che anch’essa porta il nome del santo, Martina Franca, fondata il 1300 da Filippo d’Angiò, principe di Taranto. L’Angiò, da cui la celebre dinastia, è un’antica contea della Francia occidentale, una volta abitata dalla tribù celtica degli Andecavi.

 

PIC: Simone Martini, 1313-1318, dettaglio del dono del mantello al povero,  cappella di San Martino, basilica inferiore di San Francesco d’Assisi.

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