di Riccardo Palamà

 

Sessualità: “complesso dei fenomeni psicologici e comportamentali relativi al sesso”.

 

Fin dalla pubertà, rappresenta una componente fondamentale del carattere, influenzando in maniera diretta o indiretta il quotidiano del singolo essere umano. Non essendo un aspetto tangibile della personalità, diversi sono stati gli ambiti di studio che hanno cercato di interpretarla.

Il cinema, in particolare, non si è mai tirato indietro. La sessualità sul grande schermo è uno dei temi più inflazionati, ed essendo un argomento così delicato, il rischio di banalizzarla è sempre molto elevato. Tuttavia, toccando le giuste corde, la settima arte ci regala dei personaggi e delle situazioni capaci di far riflettere lo spettatore, creando punti di contatto con la realtà.

Quattro registi, citando di seguito i loro lavori, cercano una chiave di lettura addentrandosi negli aspetti più profondi dell’animo umano.

In quanto bisogno primario, una delle preoccupazioni maggiori del padre di Kynodontas (Y. Lanthimos, 2009) è quella di assicurarsi che il figlio maschio adolescente sfoghi i proprio bisogni sessuali consumando dei rapporti con Christina, che viene portata periodicamente presso la loro villetta, lontana dalla città e all’interno della quale i figli, due femmine oltre al maschio, vivono completamente isolati e senza nessuna possibilità di contatto umano, se non quello con i genitori e con Christina.

Kynodontas Hristos Passalis

Riagganciandoci a quanto detto prima, è chiaro come la sessualità venga percepita dal padre alla stregua dei bisogni fisiologici dell’essere umano, poiché, in quel contesto, non necessaria allo sviluppo della conoscenza di se stessi, inteso come mezzo per relazionarsi ai propri simili. Assistiamo, quindi, all’amplificazione esclusivamente della parte fisica della sessualità, che il figlio assume a tratti quasi come un’imposizione, scindendola in maniera netta dalla componente psicologica che scaturisce dalla connessione e dal legame con il partner.

E’ proprio la componente psicologica che porta Jay, protagonista di Intimacy (P. Cheréau, 2001 – Orso d’oro al festival di Berlino), a non accettare più le fugaci visite di sesso con Claire, donna misteriosa che durante i loro incontri nega qualsiasi dialogo personale. In questo esempio, a far da traino alla storia è una sessualità matura, chiara e definita e i due protagonisti hanno la consapevolezza che quel sesso sporadico non basti più. Jay, in particolare, ha bisogno di portare la relazione su un piano emotivo e affettivo, che possa rendere la propria partner una persona reale e non un banale oggetto di piacere.

Mark Rylance e Kerry Fox, protagonisti di “Intimacy”

La ricerca dell’intimità, per l’appunto, va in controtendenza con una sessualità che, invece di lenire le ferite, si trasforma in fonte primaria di preoccupazione.

Una sessualità gestibile, usata per fuggire dai problemi, fin quando non diventa un problema essa stessa.

In Shame (S. McQueen, 2011), Brandon soffre di dipendenza dal sesso in qualsiasi espressione, sia essa reale, attraverso incontri con prostitute, sia essa virtuale, attraverso un uso smodato della pornografia, consumata anche sul posto di lavoro.

Michael Fassbender in “Shame”

La sua emotività è compromessa in maniera critica poiché questa sessualità malata lo ha allontanato dal contatto con la realtà, rendendolo incapace di sopportare situazioni in cui è richiesto di mettersi in gioco: dopo il fallimentare primo appuntamento con la collega Marianne, Brandon decide di spostare l’incontro successivo direttamente nella sua comfort zone, ossia una camera d’albergo. In questo episodio la componente prettamente fisica, suo punto di forza, non è più sufficiente e l’uomo non riesce a raggiungere l’erezione; la sessualità smaschera sicuramente una fragilità evidente, ma soprattutto la consapevolezza della propria condizione e di non avere strumenti per poterne uscire. L’unica breccia nel muro viene aperta dal tentato suicidio della sorella, che lo porterà a mettersi in discussione una volta per tutte, cercando di non perdere l’unico punto di riferimento che ha.

E se in alcuni casi i punti di riferimento sono compromessi, in altri risultano addirittura assenti.

Sullo sfondo luccicante di The Neon Demon (N. W. Refn, 2016), ci viene presentata Ruby, navigata truccatrice che sul finale abusa di un cadavere femminile. È difficile, in questo frangente, parlare di sessualità.

Jena Malone in “The neon demon”

La ragazza è sola e la mancanza di una definita immagine di se stessa denota non solo l’assenza della componente psicologica della sessualità ma soprattutto di quella fisica, che si esplica come uno schietto contatto tra corpi. È un istinto, il suo, un impulso semi controllato perché Ruby, distrutta dal suo stesso mondo, non ha niente. Tanto meno una sessualità.

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