Meridionalismo non questuante
di Canio Trione
economista e console onorario della Repubblica di Lettonia
Al meridionalismo si è sempre attribuita una connotazione rivendicativa; un po’ perché sistematicamente depredati -prima dalle orde garibaldine, poi dall’autoritarismo savoiardo, poi ancora da quello del grande capitale, poi dalla voracità ed ottusità della burocrazia,..- un po’ perché discriminati dagli interessi dei più forti, un po’ perché si chiedevano “trasferimenti” verso allocazioni meridionali o, meglio detti, “investimenti” perequativi per il rilancio dell’intera Italia e un po’ per tutte queste ragioni messe assieme .. l’esito è sempre lo stesso compendiato nella frase, comune a molti meridionalisti, che recita pressappoco così: “vogliamo un po’ di più della torta statale perché è giusto che così sia”.Ancora oggi molti sinceri meridionalisti sono preda di questa concezione facilmente bollabile come accattona.
Così come le sinistre si presentavano con intenti rivendicativi accampando debolezze contrattuali delle classi operaie e/o egualitarismi più o meno filosofici così anche ai meridionali si sono attribuiti intenti simili; naturalmente tutto con al connivenza attiva delle èlites native (guarda caso usualmente di sinistra) opportunamente formate alle scuole che erano anche degli altri…
L’esito di tanta profusione di sforzi sedicenti meridionalisti non ha prodotto nulla se non aggravamento delle diseguaglianze tra le varie parti del paese e del resto di Europa. Qualcosa non ha funzionato; ma deve essere stato qualcosa di enorme per aver fallito così macroscopicamente l’obiettivo.
Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente se anziché spendersi e spendere danari privati e pubblici per assomigliare ad altri (quindi portare qui da noi acciaierie e linee di montaggio) ci si fosse occupati di un altro tema: quello di far crescere le imprese che ci sono, quelle nate qua (come ci sono sempre state) e quindi dare realizzazione ed opportunità alle originalità nate qui da noi.
Proviamo con un esempio. Le più colossali imprese del mondo sono quella della pizza, quella dell’agroalimentare del sud, quella del caffè,.. ma non si tratta di imprese con un capo, un logo ben reclamizzato, migliaia di addetti organizzati militarmente per accrescere indefinitamente la quantità di danaro rastrellato… si tratta invece di milioni di imprese diversissime tra di loro, legate da un filo indistinguibile fortissimo che è la inossidabile forza planetaria della identità veicolata dal prodotto. Il distretto. Anche chi le copia quelle nostre originalità non fa altro che valorizzare (profittandone) quella forza irresistibile. Il rapporto tra queste imprese è paritario ed è regolato dal diritto privato e quindi universale, cioè validissimo in ogni economia dove esiste la proprietà privata, la libertà di contratto,… tutti questi piccoli imprenditori sono tesi alla massimizzazione del profitto ma…. senza esagerare, senza nessuna subordinazione verso capi e capetti, anteponendo spesso la famiglia alle esigenze della produzione. Ogni tanto qualcuno lascia il business per incapacità o per scelta, ma il sistema nel suo complesso continua senza che nessuno ne immagini mai l’ipotesi, anche se lontanissima, di una fine. Nessuno mai potrà scalare un impero di questo genere anche se è privo di difese legali come di brevetti,…
Si tratta quindi di una economia originale, probabilmente irripetibile, civile, egualitaria, competitiva, democratica, la cui forza risiede nel fatto che è espressione della cultura e sensibilità del sud d‘Italia.
Ma questa fede incrollabile in se stessi che muove i nostri piccoli imprenditori la ritroviamo anche nelle questioni militari come la resistenza al nazifascismo o nell’impresa apparentemente disperata di ribaltare la condizione disastrosa ereditata dalla conduzione piemontese della prima guerra mondiale. Circostanze epiche vinte tutte “alla nostra maniera”. Anche in finanza siamo i migliori avendo finanziato per numerosi decenni i debiti altrui… l’intero sistema italico non sarebbe esistito senza la determinante presenza della identità meridionale. La nostra identità ha fornito la via italiana al superamento della crisi del ’29 (che per l’Italia era iniziata ben prima con la fine della guerra), come abbiamo fornito la manovalanza di emigrati in grado di rifornire di valuta e materie prime la nostra economia uscita dal secondo conflitto mondiale; adesso siamo sempre noi a fornire inesauribili risorse energetiche verdi per alleggerire la dipendenza verso l’estero,… senza parlare del contributo meridionale al funzionamento della macchina statale.
Quindi il meridionalismo vero, più consapevole, non può essere né accattone, né rivendicativo ma non può esistere senza la granitica consapevolezza che solo la crescita delle nostre imprese e la valorizzazione della nostra creatività è la strada per uscire da questa situazione. I primi a doverne essere certi dobbiamo essere noi.