di Elia Alberta,

Francesca Crosta,

Michele Iannetti,

Iolanda Lombardi

studenti I.S.I.S.S “Fiani-Leccisotti” -Torremaggiore (FG)

   

 

“…Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura a. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno…

e il naufragar m’è dolce in questo mare!”

Giacomo Leopardi,  L’infinito

Immaginate di leggere questi famosissimi su una spiaggia mentre vi perdete nell’osservare la linea di orizzonte che vi trascina via in un’altra dimensione…Le parole risuonano ovattate, lontane… Quella linea di orizzonte delimita un “oltre”…

Immaginate di essere risucchiati in un abisso, di perdervi nell’infinito e di diventare un tutt’uno con esso… Qual è la vostra sensazione? Vi spaventa, vi affascina? Vi fa tremare?

Con i suoi versi Leopardi permette a ognuno di noi di compiere il suo stesso viaggio, verso un mondo in cui il tempo si ferma e che solo noi, nel nostro animo, possiamo conoscere: un tempo creato in uno spazio immaginario, parallelo a quello reale.

Egli ammira l’ermo colle e la siepe che gli impediscono la vista della linea dell’orizzonte, immagina spazi sconfinati oltre quella siepe e quel silenzio sconosciuto all’umanità, si lascia guidare dai suoi pensieri che conducono il suo cuore allo smarrimento. Identifica il suono del vento con la voce dell’infinito e gli vengono in mente l’eternità, il tempo passato, la stagione presente e la sua voce.   Questi pensieri fanno sprofondare la sua mente in una dimensione di immensità e per questo motivo si sente un naufrago.

“È il naufragio nell’oltre, è lo sconfinamento, è il superamento del limite che fa “spaurire il cuore” e costringe il pensiero a “fingere”, ossia, secondo l’accezione creativa che il termine aveva in latino, a immaginare e a dare forma alle cose”

Il concetto d’infinito è alquanto soggettivo perché ognuno di noi può identificarlo come meglio preferisce: in un cielo stellato, nel mare, nell’universo, in tutto ciò che è al di là di una finestra e che l’immaginazione umana può creare.

“La potenza della mente umana è qualcosa di così affascinante… perché solo attraverso l’immaginazione e il pensiero profondo possiamo conoscere ciò che non possiamo spiegarci, avvicinandoci a qualcosa di “più alto”

Tuttavia,  proprio quando l’uomo viene a contatto con qualcosa di più alto, che lo supera, ecco che prova meraviglia e terrore, attrazione e smarrimento, gioia e paura. Questo è probabilmente il senso dello “spaurire” leopardiano. Un misto di sensazioni anche opposte che, secondo alcuni, è possibile percepire  di fronte al manifestarsi del sacro.

Del resto, se, da un lato, la paura dell’infinito suscita nell’uomo un senso d’insicurezza e quasi di vertigine, dall’altro, il superamento del limite lo ha da sempre affascinato spingendolo ad andare oltre il conosciuto ed esplorare l’ignoto, l’indefinito.

Altrimenti tutto sarebbe stato troppo banale e ovvio.

“La mente ama l’ignoto e ciò che è sconosciuto perché il significato della mente stessa è sconosciuto”

Ne è un esempio l’Ulisse dantesco che, desideroso di conoscenza, ha oltrepassato impavido, senza paura, le colonne d’Ercole, limite estremo del mondo conosciuto, nella letteratura classica.

E’ innegabile che l’uomo senta fortemente l’attrazione verso un oltre, nel tentativo di non essere schiacciato da tutto ciò che è finito, eppure, quando si apre, per così dire, all’infinto, la paura lo immobilizza suscitandogli sensazioni inaspettate…

“La paura dell’immensità  non è, quindi, solo un fatto fisico ma anche intimo poiché costringe a guardarsi dentro e fare i conti con l’abisso che ognuno ha dentro di sé”

E’ allora che l’uomo entra in contatto con quella che Nietzsche chiama l’anima dionisiaca, quella parte in cui predomina l’istinto sulla ragione, la creatività, l’inquietudine, l’energia non misurabile, il superamento del limite, ed infine la libertà.

Travolto da questo turbine di emozioni, talvolta, l’uomo ne è terrorizzato e ne ha paura perché non sa come gestirle. In quell’istante, forse, entriamo in contatto con il nostro stato originario

Allora, forse, mettiamo in moto le nostre facoltà creative. Usciamo, anzi, ci risvegliamo da quello stato di abitudine che ci tiene sospesi e non ci fa vivere…

Libera da tutto ciò che è finito e sicuro, libera dall’equilibrio della ragione, la vita pulsa e fa paura e, nello stesso tempo, ci consente, per dirla con Leopardi, di “naufragare” …

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