di Francesco Scorrano

Nel vasto panorama della filosofia occidentale, poche opere risplendono con la stessa intensità della “Critica della Ragion Pura” di Immanuel Kant. Questo monumentale trattato, pubblicato nel 1781, rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero, gettando le basi per una rivoluzione epistemologica che ha profondamente influenzato il modo in cui percepiamo la realtà e la nostra capacità di conoscerla.

Al centro della “Critica della Ragion Pura” si trova un ambizioso progetto: indagare sulle condizioni di possibilità della conoscenza umana. Kant si propone di risolvere la tensione tra due tradizioni filosofiche dominanti del suo tempo: l’empirismo, che sostiene che tutta la conoscenza proviene dall’esperienza sensibile, e il razionalismo, che attribuisce alla ragione umana la capacità di accedere a verità universali e indipendenti dall’esperienza.

Kant cerca di superare questa dicotomia proponendo una terza via, che egli chiama “idealismo trascendentale“. Secondo Kant, la conoscenza è il risultato di un processo interattivo tra la mente umana e la realtà esterna. La mente organizza e struttura le percezioni sensoriali attraverso delle categorie innate, che chiama “categorie dell’intelletto”, al fine di dar loro significato e coerenza.

Nella “Critica della Ragion Pura”, Kant distingue tra due forme di conoscenza: l’intuizione sensibile e il concetto. L’intuizione sensibile fornisce i dati grezzi dell’esperienza, mentre i concetti, guidati dalle categorie dell’intelletto, organizzano e interpretano questi dati al fine di creare conoscenza. Secondo Kant, senza l’interazione tra intuizione e concetto, non sarebbe possibile avere una comprensione significativa del mondo.

Una delle principali conclusioni è che la ragione umana ha dei limiti intrinseci. Egli sostiene che la ragione non può accedere a verità metafisiche o trascendentali, come l’esistenza di Dio o l’immortalità dell’anima, poiché tali concetti vanno oltre i confini dell’esperienza sensibile e delle categorie dell’intelletto umano.

Kant identifica dodici categorie fondamentali, divise in quattro gruppi:

Le categorie della quantità includono l’unità, la molteplicità e la totalità. Le categorie della qualità comprendono la realtà, la negazione e la limitazione. Le categorie della relazione coinvolgono l’inerzia e la modalità, mentre quelle della modalità riguardano l’esistenza, la necessità e la contingenza.

Queste categorie non sono acquisite dall’esperienza, ma sono innati alla mente umana, fornendo il telaio concettuale attraverso il quale comprendiamo e interpretiamo il mondo. Ad esempio, quando percepiamo un oggetto come “grande”, stiamo applicando la categoria di “quantità” al nostro giudizio, senza necessariamente doverlo confrontare con altri oggetti per stabilire la sua grandezza.

Kant sosteneva che queste categorie sono universali e necessarie per ogni mente razionale, fungendo da condizioni preconcettuali per l’esperienza. In altre parole, senza l’uso di queste categorie, non saremmo in grado di dare significato alle nostre percezioni o di formulare concetti coerenti sul mondo esterno.

L’eredità di questo Saggio è immensa e complessa. Se da un lato ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo la conoscenza e la realtà, dall’altro ha generato dibattiti accesi e interpretazioni contrastanti. Le sue idee hanno influenzato filosofi, scienziati e pensatori di ogni epoca, dando vita a una vasta gamma di interpretazioni e scuole di pensiero.

 


FOTO: di Freepik

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