di Martina Florio

Valentina Lo Prete

Marianna Meglioli

Milena Poli

studentesse I.S.I.S.S.”Fiani-Leccisotti”-Torremaggiore (Fg)

Chi, almeno una volta nella vita, non ha sperimentato sulla propria pelle la paura? Quante volte abbiamo pensato che fosse un sentimento negativo? E se non fosse così?

In tutti i suoi gradi, timore, ansia, paura, fobia, panico, terrore, orrore, la paura accompagna da sempre la vita dell’uomo, dall’infanzia all’età adulta.

Come la definisce lo psicanalista Umberto Galimberti, è “un’emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia”. Certamente le cause della paura sono tra le più disparate, ma il dato certo è che a questa forte emozione, corrisponde una reazione: batticuore, ansia, sudorazione, tensione, pianto.

Per molti, la paura e ciò che ne consegue costituiscono un limite, una barriera per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, e per molti versi lo è: non a caso, la filosofia antica sosteneva che le passioni schiavizzassero gli uomini e che bisognava controllarle.

Ma perché coltivare l’apatia, come sostenevano gli epicurei? Perché privarsi delle passioni e del forte sentire?

“E se da queste emozioni nascesse qualcosa di grande?”

In questa direzione, l’arte non tarda a darci prove notevoli e spunti di riflessione…

Basti un esempio: il pittore norvegese  Edvard Munch (1863-1944).  Significativo esponente del simbolismo nonché precursore dell’espressionismo, Munch è riuscito a dare sfogo a sentimenti oscuri e profondi, come la paura e a creare opere coinvolgenti, come mai fatto prima.

È ricordato per Il grido,  una delle opere più riconoscibili nella storia dell’arte (Skrik, 1893).

La tempera rappresenta un essere umano trasfigurato nel volto, abbracciato da un tramonto rosso sangue. Come lo stesso Munch scrive, “Sentii un urlo attraversare la natura; mi sembrò quasi di udirlo; dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero; i colori stavano urlando”.

Il vero protagonista non è il soggetto in primo piano, ma l’urlo che emette, evidenziato dall’utilizzo di colori caldi.

Tutto è concentrato sull’espressione dell’angoscia esistenziale, paragonabile alla vertigine che si prova guardando dall’alto nella profondità, che simboleggia l’abisso di se stessi.

Munch riesce a esaltare il grido, attraverso la deformazione degli oggetti e la fissità dello sguardo che si perde nell’esperienza del panico. A ben vedere, riesce anche a trasmettere il suono dell’urlo, che si percepisce in modo violento: non è solo l’uomo ad urlare, ma tutta la natura.

Venduto da Sothesby’s a New York, nel 2012 per oltre 119 milioni di dollari, a testimoniare della sua importanza, L’urlo non è soltanto un quadro (ne esistono, in realtà, quattro di versioni) ma il frutto di un’intera, funestata esistenza che in quel  volto terrorizzato trova la sua massima espressione.

Solo tre anni prima, Vincent Van Gogh (1853-1890), emblema dell’artista tormentato, riesce ad esprimere l’ansia, nell’olio su tela Campo di grano con i corvi (1890).  Un vero e proprio “terremoto di colore”, in posizione centrale, raffigura il campo di grano su cui volano bassi alcuni corvi perdendosi nel  cielo nuvoloso e scuro nella parte superiore.

Il sentiero centrale, senza un punto di arrivo, e il volo dei corvi, che sembrano essersi smarriti, suggeriscono un senso di disagio, turbamento e disorientamento. Testamento spirituale, Campo di grano con i corvi richiama, nell’animo di un attento osservatore, il dramma interiore, misto di sgomento e disperazione, che lacerava l’artista a poche settimane dalla sua morte.

Eppure, il campo giallissimo come i suoi memorabili Girasoli rimanda ad un’idea di vitalità sul punto di soccombere, minacciata dal cupo colore del cielo sovrastante…

Andando a ritroso nel tempo di qualche secolo, Caravaggio, intorno al 1598, attraverso un gioco di luci e ombre,  esprime il terrore, la paura e la sorpresa con il celebre dipinto Testa di Medusa.

Il mostro dalla chioma di serpenti, in grado di pietrificare chiunque la guardasse, fu sconfitta da Perseo che, grazie all’aiuto della dea Minerva, osservò il suo volto riflesso in uno scudo e riuscì a mozzarle la testa. Medusa è rappresentata con il volto urlante, gli occhi e la bocca spalancati, nell’ultimo istante della sua vita. È proprio la sua espressione a trasmettere agli spettatori gli stati d’animo da lei provati nel momento dell’uccisione.

   Munch, Van Gogh, Caravaggio, uomini e artisti a dir poco incredibili, ricordati per l’intensità coinvolgente delle loro opere, impresse per sempre nelle nostre menti, dimostrano quanto anche le emozioni considerate “negative”, non sempre sono da connotare come tali.

O meglio, dipende dal punto di vista…Certamente, nel caso di questi, come di molti altri celebri dipinti, proprio l’impulso determinato da sentimenti cupi e minacciosi, da un lato,  e  l’esigenza di dare loro sfogo, dall’altro, hanno fatto sì che venissero alla luce dei veri e proprio capolavori…

Come disse Daniel Defoe (1660-1731), scrittore e giornalista britannico, celeberrimo autore di Robinson Crusoe, “…la paura del pericolo è diecimila volte più agghiacciante del pericolo stesso: il peso dell’ansia ci pare più greve del male temuto. La paura può rendere ciechi. Ma può anche aprirci gli occhi su una realtà che normalmente guardiamo senza vedere. Senza immaginazione, la paura non esiste”.

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