di Nazario Vasciarelli

attore, autore

 

La paura è vecchia quanto il mondo: ha conosciuto chiunque e tutti se la ricordano.

E’ un elemento primordiale, un campanello d’allarme di fronte a ciò che non capiamo e abbiamo bisogno di spiegarci.

Ma è anche ciò che ci salva la vita, ciò che mette in moto, prima ancora della nostra intelligenza, il nostro istinto di conservazione.

Il bambino di fronte ad una stanza buia si ferma e aspetta che qualcuno accenda la luce.

“E’ la stessa cosa che in teatro fa lo spettatore di fronte ad un sipario chiuso e immerso nel buio: aspetta di capire ciò di cui non ha idea

L’etimologia della parola idea è da ricondursi al greco antico e precisamente nella radice -ἶδ (-id) che ritroviamo nella forma verbale ε-ἶδ-ον (eidon), aoristo del verbo ὁράω (orao = vedere), e nel latino v-id-ere.

Il concetto di idea, quindi, è strettamente legato a quello di visione, di immagine, di rappresentazione mentale che può corrispondere ad un oggetto o ad una realtà esteriore, oppure può essere anticipatrice, intuitrice di una realtà esteriore (come nel caso delle scoperte o delle invenzioni) o, ancora, può essere di pura fantasia.

“Il teatro da sempre assolve a questo compito”

Racconta storie perché gli uomini sono indifesi, fragili e conoscono sempre poco il mondo che li circonda.

Aristotele nella “Poetica” scriveva che scopo della tragedia è suscitare negli spettatori sentimenti di pietà e paura. Così facendo, si arriva attraverso la catarsi alla liberazione, alla purificazione da queste passioni.

E’ proprio questo quello  che accade allo spettatore di ieri come a quello di oggi…

Colpito da chi soffre senza colpa o addirittura soffre a prescindere dalla propria colpa, prova sentimenti di pietà e, in seguito, di paura…paura che una simile sorte possa toccare anche a lui.

Gli antichi Greci cercarono di studiarla attentamente, chissà forse perché avevano paura della paura stessa.

Per loro questa sorta di divinità’ oscura aveva una funzione purificatrice: “ripuliva” gli animi corrotti degli uomini e si avvaleva di uno strumento potente come la rappresentazione tragica.

Oggi questa paura utilizza altri mezzi per diffondersi, ma continua a essere parte di noi perché fa parte dell’uomo in modo ancestrale.

I film horror che i mass media spesso propongono assolvono solo in parte a questo compito perché rappresentano delle situazioni sempre più irrealistiche con il fine di annullare la riflessione e alimentare ossessioni perverse, che creano una sorta di dipendenza dal prodotto.

Una società violenta come quella statunitense non solo produce ma è anche il più grande mercato violento di “paura” da consumo.

“Il teatro, invece, da 2500 anni continua la sua funzione catartica perché non ha bisogno della rappresentazione violenta del fatto di sangue

Nella tragedia greca, come talvolta nel mito, il fatto di sangue è lasciato al racconto dei testimoni che hanno visto e che raccontano. Per citare degli esempi: la strage compita dalle Baccanti in Euripide o il racconto dell’inganno del cavallo nell’Odissea.

Raccontare è ricreare, rivivere e riflettere sulle implicazioni che gli avvenimenti tragici hanno sulla vita degli uomini.

La paura bussa alla porta di tutti per farsi conoscere e lascia sempre un ricordo: il pensiero ossessivo di lei.

Paragonata, da alcuni, ad una donna che vuole ricevere attenzioni, che vuole essere al centro dei pensieri dell’essere umano e lo attira con la sua voce provocante, con il suo sussurro flebile, la paura  ci cattura sempre perché ciò per cui non siamo programmati ci terrorizza.

Non è un caso che i Greci davano alla tragedia  un significato religioso, connesso alla paura dell’ignoto quale timore  sempre presente nella storia dell’umanità.

Eppure il teatro ha come scopo principale raccontare delle storie, intrecciare delle fabule.

E per quanto l’uomo sia misterioso e intricato come un groviglio di fili, come un labirinto gigantesco, ha la necessità, similmente ai bambini che si fanno raccontare delle favole, di non perdersi in se stesso e nella propria paura ma di arrivare alla fine del racconto per capire meglio le emozioni che ha vissuto con la mente e, in un certo senso, con il corpo….

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), prolifico scrittore e giornalista britannico eversivo e controverso, scrive:

 

“Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono,

 i bambini già sanno che i draghi esistono.

Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi”

 

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