di Dunia Elfarouk

Mancanza di senso o eccesso di senso. Svuotare, alterare o acuire la percezione?

Estrosa imprudenza di un messaggio carico nella forza d’urto, ermetico nel dettato dei canoni. Esagerata commistione di parole ossimoriche, di suoni congestionati, di significati ingobbiti. Vibrazioni rinvigorite dal loro stesso impatto profanatore.

Si scontra con il razionale dando vita a quell’assurdo che riempie di note stridenti e sillabe disordinate gli scaffali del gusto e i cassetti del sentimento. Con ripugnanza schiaffeggia le regole, l’ordine e la misura. Se ne infischia del buonsenso. Se non fosse così non si chiamerebbe “no sense”.

Appaga il desiderio di sperimentale surrealismo, affinché la confusione di punti, linee e forme distratte dipingano sulle suture del tempo ciò che non può essere pensato, solo bruscamente sentito.

Accoglie il rumore e il frastuono per agitare neuroni e papille gustative. Ci invita a dimenticare la grammatica e schiude suggestioni da torpori auto-condotti.

Il no sense frantuma l’armonia, fregandosene di ogni sintassi, calpestando l’eco già morta di ogni dettame. Storpia la formula per stravolgere la sua logica.

Nessun rigore in una folle strategia di discordanza e sproporzione.

Mi chiedo che senso ci sia in una poesia o in un’opera d’arte. Mi chiedo se la simmetria delle emozioni esista veramente.

E’ forse l’impero della dissonanza e dello scomposto estetismo che accoglie l’arte e il gigante dell’eterna, magari odierna, ricerca dell’assoluto, inteso come sconfinato dialogo con l’universo.

A chi ha sempre creduto che l’euritmia e la sintassi non siano in grado di formulare l’onirico, non resta che guardare al feroce agguanto del no sense. Non più effetto forzato, ma tripudio di eccessi e consapevoli inganni.

Inutile mascherare in un’accurata pulizia della linea la reale assenza di significato. La confusione, forse impressionante per l’occhio e l’orecchio troppo istruiti, riesce a masticare il messaggio e a rigettarlo sull’umano orizzonte e la sua pigra nebbia.

Così nasce il no sense, visibile ad occhio nudo, anche da chilometrica distanza.

Negli abissi del vero vengono mescolate paure e miraggi attraverso l’estasi del fragore. Il no sense non ha rimpianti. Musicalmente inquietante. Orgogliosamente scorretto. Fruga nelle soffitte del vecchio, rovista nelle vetrine del nuovo.

Per impastare desideri e miracoli non occorre la religione di un falso ingegno.

E’ la sfrontata energia dell’irrazionale che coincide con l’incontenibile irruenza del creativo.

Rimane, il no sense, facilmente riconoscibile tra le trappole dell’insipienza moderna, sempre più ipocrita nella sua ricerca di accordi, sempre più egoista nella sua fuga dal marasma dei sensi.

Mi lascio trascinare dalla forza esasperatamente immaginativa di musiche apocalittiche, di palcoscenici postatomici.

Le Nista Nije Nista, con voci di raso, musiche di clarinetto e sassofono, rumori metallici di catene ed elettrodomestici, turbano equilibri e irrompono nel suono.

Non esiste involucro in grado di contenere la smisurata emozione della mente. Per liberare l’impulso del vero è necessario sbriciolare la regola dell’armonia.

Non sarà mai contenuto nella curva di un cerchio il  trepidare dell’artista, né nella rima di un verso il rapimento del poeta.

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