di Maria Gaggiano

studentessa I.S.I.S.S “Fiani-Leccisotti” Torremaggiore (FG), indirizzo classico

 

È a tutti noto quanto, fin dall’alba dei tempi, sia stato stretto e intenso il binomio uomo-animale: da sempre, sia che il secondo sia stato preda o compagno del primo, essi hanno condiviso il mondo.

Così l’uomo, trovando una delle principali espressioni del proprio essere nell’arte, intesa in tutte le sue forme, sovente, ne ha reso co-protagonista proprio l’animale.

Non a caso le prime forme di arte pittorica rappresentano figure animali con tratti e forme semplici che, tuttavia, restituiscono vitalità a movimenti tipicamente selvatici.

Le raffigurazioni presenti nelle famose grotte di Lascaux, in Francia, risalenti al Paleolitico superiore, ne sono un chiarissimo esempio.  Che significato avessero tali raffigurazioni non ci è dato saperlo chiaramente: possiamo solo supporre che l’animale fosse venerato come un dio, in quanto fonte di sostentamento per l’uomo, durante i riti propiziatori per la caccia.

Ad un rapido sguardo dell’evoluzione della storia dell’arte è possibile accorgersi della presenza sempre varia di un animale accanto all’uomo: che lo si consideri compagno fedele, simbolo di forza, complesso di virtù, l’animale è, riferendoci all’etimologia del termine, ‘ciò che dà vita’. Soprattutto all’uomo: concetto ben chiaro nella mente di chi possiede un animale domestico grazie al quale ha imparato cos’è l’affetto, la semplicità, la sensibilità e la fiducia.

Tutte cose che, appunto, restituiscono vita…

Scorrendo la linea del tempo prima dell’anno zero ammiriamo le grandi opere artistiche della civiltà greco-romana.

Tanti sono i racconti (pittorici, vascolari, scultorei) che ci sono pervenuti: in essi compaiono numerose figure animali, dal mitologico Minotauro, conosciuto anche come il ‘toro di Minosse’ al fedele Argo, il cane di Odisseo.

Non smette ancora oggi di incantarci il celebre “Mosaico di Alessandro”, custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in cui si distingue, per l’intensità dello sguardo, la figura del grande Alessandro Magno in sella al suo fiero cavallo Bucefalo, fedele compagno delle sue avventurose spedizioni. Il mosaico, dalla raffinata bellezza e dalle figure patetiche, venne rinvenuto nella pavimentazione della così detta “Casa del Fauno” a Pompei.

Sempre a Pompei, dove nel 79 d.C. la vita della opulenta città romana si fermò, ritroviamo, sulla soglia di una domus romana (la Casa del Poeta tragico), la raffigurazione di un cane e la vicina locuzione ‘Cave canem!’ (“Attenzione al cane!”). La scritta chiarisce bene quale fosse il ruolo dell’animale domestico per gli antichi romani: quello, appunto, di proteggere il padrone e spaventare chiunque fosse intenzionato a commettere ruberie nella sua abitazione.

Impossibile tralasciare, poi, l’icona della grande potenza di Roma: la Lupa Capitolina, simbolo di forza, orgoglio, tenacia e protezione. Raffigurata, nel corso dei secoli, in molteplici forme, è allegoria di un intero racconto di fondazione, sebbene la statua da noi conosciuta venne quasi sicuramente realizzata tra il X e il XIV secolo.

 

Intese come rappresentazione di vizi e virtù, in età medievale, le figure animali andarono a connotarsi di significati simbolici e allegorici legati alla cristianità.

Esemplare, da questo punto di vista, la Commedia dantesca.

D’altro canto, leoni, pesci e draghi erano presenti in ogni aspetto della vita quotidiana: raffigurati nelle chiese; citati in poesia, nei racconti e nei proverbi; utilizzati negli stemmi, negli stendardi e nei sigilli.

Non stupisce, allora, se le figure più rappresentative del simbolismo medievale siano la colomba che, per il suo candore, rimanda all’idea del battesimo e alla condizione di purezza e innocenza  dell’anima, come possiamo ammirare nel particolare del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna;  l’agnello, considerato elemento mistico, aspetto che sarà fortemente ripreso nella pittura fiamminga, come nell’omonimo Polittico dell’Agnello Mistico (1432); il pesce, simbolo per eccellenza, in virtù della sua natura acquatica, del cristiano battezzato.

L’arte dell’età moderna vede nell’ opera di Leonardo: “La dama con l’ermellino”, dipinta tra il 1489 e il 1490, un elemento di novità.

Il grande artista ribadisce, nel gesto della giovane donna che tiene in braccio e accarezza il proprio animale domestico e nello sguardo di entrambi rivolto a sinistra, l’intensità e la sintonia del rapporto tra l’uomo e il proprio animale di compagnia. 

Un rapporto da sempre esistente che, facendo un bel salto avanti nella storia, ritroviamo nel quadro “Il suo unico amico” di Briton Rivière, del 1871: un giovane ragazzino siede a terra stanco accanto al suo bastardino che abbraccia teneramente, in un gesto spontaneo.

Come non menzionare, poi, il pittore francese definito il “Re dei gatti”, Balthasar Klossowki de Rola, o semplicemente Balthus? L’artista inserisce in molti suoi quadri figure di gatti che contribuiscono alla scena rappresentata: nella celebre opera “The king of Cats” (“Il re dei gatti”) del 1935, il gatto raffigurato rivolge uno sguardo ambiguo all’osservatore, mentre nell’opera “Nude with cat”(“Nuda con il gatto”)  l’animale entra in totale empatia con la centrale figura femminile, dal volto rilassato e abbandonato che sembra essere imitato dal felino.

L’amore per i gatti dell’artista si spiega con la grande affezione nei confronti della sua amata gatta ‘Mitsou’. Per vincere la nostalgia e combattere il dolore della perdita, a causa della fuga dell’animale, il promettente ragazzino cominciò a disegnare alcune tavole che raccontassero la storia della sua gatta, sebbene non manchino opere dello stesso autore in cui la figura animale, per quanto presente, sia poco rilevante, in cui i gatti sono ritratti nelle loro apatiche attitudini.

“Presenze” dietro cui Balthus si si nasconde, suggerendo allo spettatore il fascino dello struggimento interiore, il desiderio di recuperare l’armonia perduta e, forse, una insopprimibile necessità di tenerezza.

Al realismo magico rimanda, per la sua atmosfera straniante, “Beethoven (1928) dell’italiano Felice Casorati: nel dipinto un piccolo cane bianco con macchie nere compare, in posizione seduta e composta, probabilmente accanto alla sua padroncina, vera protagonista dell’opera a sviluppo verticale. L’abito bianco della piccola e il candore dell’animale, entrambi fermi nelle loro pose, conferiscono alla scena domestica una dimensione straniante e misteriosa. Accanto alla fanciulla uno spartito sul quale è scritto il nome del musicista da cui l’opera prende il nome.

Particolarmente rappresentativo dell’inscindibile rapporto tra l’uomo e l’animale è, infine ( per quanto ancora lungo sarebbe l’elenco!), “Le cirque bleu” (“Il circo blu”, 1950) di Marc Chagall in cui la fantasia del mondo circense si intreccia con soggetti surreali  che vengono però lasciati indistinti nel blu di fondo, colore che permette, all’opposto, di far risaltare la figura della giovane donna e del cavallo  illuminati dal chiarore della luna.

Tra i due membri si instaura un profondo contatto visivo che diviene emblema non solo del rapporto precedentemente descritto ma anche della ritrovata affinità tra le due distinte specie viventi. 

 Affinità… Sono, in effetti, gli animali gli esseri viventi che più somigliano all’uomo: già secondo Pitagora “gli animali condividono con noi il privilegio di avere un’anima” e, in quanto esseri viventi, non vanno offesi, motivo per cui, secondo il pitagorismo, era fatto divieto di nutrirsi di carne.

 

“La parola ‘animale’ mostra, in questo senso, tutto il suo limite: nella sua apparente semplicità il termine, racchiude un complesso rapporto che lo lega all’uomo, il primo animale nella linea degli esseri viventi”

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