CARMINA VIRI

di Fulcanelli ©

 

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Quale economia ci salverà?

 

La politica economica per il dopo virus è semplice, anche se fanno di tutto per convincerci del contrario.

L’emergenza pandemica si è innestata in Italia e nel sud su una situazione economico sociale totalmente insostenibile già da decenni. Situazione priva di rappresentanza politica a tutti i livelli. Situazione cronica al sud ma presente in molte altre parti d’Italia e d’Europa. Situazione che sembra non avere sbocchi, non solo per la sua vastità e profondità ma anche e principalmente per l’assenza di proposte. Situazione dovuta ad errori di politica economica nazionale ed europea i cui effetti al sud sono stati devastanti. Pure si deve iniziare a cambiare radicalmente, cominciando dai punti più urgenti.

1 La burocrazia

Il lavoro è sacro e non è accettabile che venga vietato o subordinato ad alcunché. L’autoimpiego (cioè l’apertura di imprese fino a 10 addetti e 2 milioni di volume di affari) deve essere condizionato solo all’apertura della partita IVA. Niente deve impedire ad una persona di avviare un’attività.

Alla stessa maniera le imprese di piccole dimensioni devono poter assolvere ai propri doveri tributari versando all’inizio di ogni esercizio fiscale un emolumento indicato dall’agenzia delle entrate che lo assolva da ogni tassazione diretta e da ogni accertamento. Rimane la contabilità iva. L’agenzia calcolerà l’emolumento sulla base di quanto versato a tale titolo nei precedenti cinque anni.

L’obbligatorietà della fatturazione elettronica e connessi e similari adempimenti va abolita.

Lungi dal costituire un premio agli evasori, questo approccio vara una pace fiscale permanente su di un principio utile a tutti: la certezza. Certezza per l’erario che incassa all’inizio dell’esercizio senza esporsi alle incertezze della congiuntura; certezza per il contribuente che non subirà accertamenti; certezza dei costi fiscali e amministrativi; certezza negli adempimenti assolvibili direttamente e personalmente dall’imprenditore; certezza simile a quella che conforta il dipendente pubblico e privato di cui non beneficia il lavoratore autonomo.

2. Il credito

I mutuatari, e in genere ogni debitore verso il sistema del credito, deve vedersi riconosciuto il diritto di sospendere la corresponsione della sorte capitale continuando a versare alle rate prestabilite gli interessi calcolati sul debito residuo. Le banche conservano così il flusso di interessi mentre il sistema può conservare la liquidità che riterrà necessaria. Non è un aiuto ma un’operazione finanziaria.

Il vezzo di regolare dall’alto la liquidità in circolazione non produce gli effetti voluti proprio perché calato dall’alto, laddove il debitore e quindi fruitore del credito deve decidere quanto e quando rifornirsi della liquidità necessaria e senza adempimenti che ritardano e vanificano l’utilità del credito stesso. Senza parlare della inutilità per la banca di vedersi restituire danari che deve poi cercare di collocare; danari che spesso si devono necessariamente utilizzare nell’acquisto di titoli pubblici o alla BCE, pagando interessi. Una situazione innaturale che va contro lo stesso buon senso, danneggiando assieme al Pil gli interessi delle banche.

3. Il debito pubblico

Parte significativa di titoli pubblici sono oggi detenuti dalla BCE che li ha acquistati con moneta creata all’uopo nell’assolvimento del suo compito di contrastare la deflazione. È evidente che la BCE, non avendo scopo di lucro, non ha diritto a vedersi riconoscere gli interessi né, alla scadenza, la sorte capitale; né, infine, può fare trading per ottenere un capital gain. Tutto ciò comporta che quei titoli non possono essere annoverati tra i debiti pubblici semplicemente perché non hanno scadenza; un riconoscimento de jure di questo status libera così importanti risorse che possono essere spese dai paesi dell’eurozona.

Non si tratta di un aiuto a chicchessia perché tutti gli stati hanno beneficiato, pro quota, di tale politica (detta QE) e quindi tutti saranno alleggeriti di un peso che, di fatto, è inesistente. Né si capisce perché mantenere una posta meramente contabile coscienti che mai nessuno di quei titoli sarà pagato se non su espresso desiderio dell’emittente. Quindi l’Italia deve togliere dal computo del proprio debito pubblico quella quota detenuta dalla BCE e invitare tutti gli altri stati a fare lo stesso se lo vogliono, invitando la BCE a restituire gli interessi erroneamente corrisposti. Peraltro la BCE sta già procedendo al rinnovo di tutti i titoli pubblici che arrivano in scadenza, dimostrando di condividere questo assunto.

 

4. Memento finale: l’economia che ci ha sabotati ora vuole definitivamente schiavizzarci

Tra i pagatori di tasse vi sono imprese forti in grado di traslare le proprie tasse su altri (i gestori autostradali per es. ma anche le compagnie dell’energia…) e pagatori netti (le piccole e medie imprese e i consumatori) che così si trovano a pagare tasse per se e per le imprese forti di cui acquistano i servizi e per i dipendenti statali che mantengono tout court. Se le pmi non hanno convenienza ad espandersi e ad esistere o se addirittura vengono costrette all’inazione per legge, l’intera spesa pubblica deve essere finanziata a debito; se poi si delibera di “aiutare” le pmi con elargizioni di danaro quasi fossero dipendenti pubblici, quel ricorso all’indebitamento si accresce ancor di più. Di quanto? Di cifre vicine al pil stesso.

Questa è la situazione odierna. De decenni fare impresa per le pmi non era più cosa invidiata, la pubblica amministrazione da decenni si è sbizzarrita a cercare metodi per estorcere danari e rendere difficile la vita dei piccoli imprenditori. La favola della loro inesauribile tendenza all’evasione ha alimentato l’odio delle menti più deboli e disinformate verso questa categoria aumentandone la persecuzione e i controlli, restringendola quantitativamente a tutto vantaggio di deficit e debito pubblico (evidentemente gradito al sistema delle banche e della grande impresa che ci lucrava e lucra interessi e profitti che diversamente non avrebbe lucrato).

Oggi il virus si è incaricato di creare un caso di scuola: che succede se la porzione del pil creata dalle pmi chiude? Cioè se le pmi – fondamentali pagatrici di tasse- vengono fermate?

Il PIL delle pmi vale circa il 20% del totale del prodotto interno lordo e quindi, contabilmente, costa un 20% di pil di debito in più; se poi lo dobbiamo sostenere con aiuti pubblici arriveremo al 30%. I nostri sagaci politici pensano che se questo 30% lo finanziamo con titoli sottoscritti dalla banca centrale a tasso zero ce la potremo fare brillantemente senza molto sforzo. I banchieri centrali faranno la parte dei salvatori della patria con costi modesti (basta un click per creare tanti soldi!) e saremo tutti contenti.

Vedremo presto se è vero o no. Se ci saranno tumulti popolari o no. Se il sistema finanziario sopravviverà o no. Se l’impalcatura giuridica reggerà o no. Oppure se sarà il caos cui si farà fronte con la dittatura politica.

E’ meglio riconoscere la centralità, la dignità e quindi sacralità e intangibilità delle pmi come segno tangibile e percorso operativo di democrazia e civiltà. La proverbiale adattabilità, capacità di soffrire e rinascere dei nostri imprenditori farà rinascere e rilanciare l’intero sistema economico cominciando proprio dalle aree più deboli e quindi maggiormente dipendenti dalle pmi. Quindi, un sistema di norme che sancisca quella sacralità ed intangibilità può da subito invertire la rotta e fermare l’inabissamento che stiamo vivendo… se no, come detto, sarà il caos e la dittatura economica.

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