Danny Boyle
Bernard Bellew, Danny Boyle, Christian Colson, Andrew Macdonald, 2017, 117 minuti

IL REGISTA

Danny Boyle inizia la propria carriera a partire dai primi anni ’80, in cui si occupa inizialmente della regia di alcune produzioni teatrali e successivamente della direzione di episodi di alcune serie televisive per l’emittente BBC.
Nonostante l’esordio dietro la macchina da presa nel 1994, il successo come regista di cinema arriva nel 1996, anno in cui dirige Trainspotting, adattamento dell’omonimo romanzo di Irvine Welsh, diventato presto uno dei film cult degli anni ’90.
A dispetto dell’ottima partenza compie scelte discutibili accostando il proprio a lavoro a produzioni di dubbia qualità che ne compromettono l’immagine; riacquista credibilità dirigendo The millionaire nel 2008. Il film si dimostra un successo commerciale e di critica a livello globale che frutta numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l’Oscar al miglior regista nel 2009.
La nuova ondata di consenso permette a Boyle, oltre che di riprendere l’attività teatrale, di ottenere la direzione artistica della cerimonia di apertura dei Giochi della XXX Olimpiade, tenutasi a Londra il 27 luglio 2012.
Nonostante gli alti e bassi, Boyle si afferma nel panorama cinematografico mondiale, dimostrandosi un cineasta di discreto livello.

IL FILM

Mark “Rent boy” Renton ritorna dopo vent’anni nella sua Edimburgo: sta per essere licenziato, sta affrontando un divorzio e si è appena ripreso da un intervento al cuore. Dopo aver salutato il padre, rimasto vedovo, incontra Daniel “Spud”, ancora tossicodipendente, e successivamente Simon “Sick boy”, invecchiato ma ancora in forma. Nonostante le diffidenze iniziali, dovute al colpo basso delle 16.000 sterline di vent’anni prima a opera dello stesso Mark, si riconcilia con entrambi ed accetta di intraprendere un business in società con Sick boy insieme con la sua platonica compagna Veronika. I tre amici riscopriranno l’importanza del loro affiatamento, rendendosi conto che il legame tra loro, nonostante gli anni di lontananza, non è stato minimamente scalfito e che forse era proprio quello di cui avevano bisogno.
All’appello manca solo Francis “Franco” Begbie, che continua ad aggredire la vita senza esitazioni e che medita ancora la sua vendetta nei confronti di Rent boy.

CHE COSA CI È PIACIUTO

Il film rappresenta uno dei prodotti commerciali più riusciti, dimostrandosi uno dei migliori sequel degli ultimi anni. I punti a suo favore riguardano la sceneggiatura, la fotografia e la caratterizzazione dei personaggi.
Spostando l’arco temporale di vent’anni, lo sceneggiatore John Hodge ha avuto la libertà di creare un nuovo filone coerente di eventi, alternando lo scorrere della narrazione a digressioni in cui vengono approfondite le relazioni tra i vari personaggi, ad esempio tra Franco e suo figlio; a tal proposito risultano riusciti tutti gli spezzoni in cui sono protagonisti Mark e Simon, all’interno dei quali viene rimarcata l’importanza del rapporto umano e del supporto continuo tra i due; Veronika infatti sottolinea quanto sia assurdo che i due amici appena ritrovati continuino a rivivere i ricordi con tanta intensità, non essendo a conoscenza che nel loro passato da tossicodipendenti, l’amicizia era l’unica arma sulla quale potevano contare sempre; alla luce dei fatti, è anche l’unico mezzo che hanno per continuare a dare un senso allo scorrere delle loro vite, caratterizzate da disagio, fallimenti e continue delusioni. Ed è proprio per questo motivo che la stessa Veronika, insieme con
lo spettatore, viene irradiata dall’assoluto fervore che i due emanano da quando si sono ritrovati. Di queste energia beneficia anche Spud che, rimasto ai margini della società fino a quel momento, acquista la consapevolezza che le persone salvano altre persone, venendo spronato e motivato anche da Veronika, che risulta l’unica a dargli fiducia come essere umano.
Nessuno dei quattro protagonisti perde la propria natura ed è il punto di forza per la riuscita del film. Boyle è stato capace di restituirci la logicità di tutti i personaggi, sia primari che secondari, anche a distanza di vent’anni, servendosi inoltre di una fotografia più sobria e posata, che mira a risaltare i colori freddi.
Molto graditi anche i ritorni di Shirley Henderson e Kelly Macdonald.

CHE COSA NON CI È PIACIUTO

Nonostante le novità presentate, le analogie con il film del 1996 sono eccessive e riguardano soprattutto la colonna sonora e il montaggio.
Appurato che l’obiettivo principale è la classica operazione revival, l’utilizzo ripetuto di alcune canzoni, anche se iconiche, che compaio anche nel primo film (Lust for life e Born Slippy) è superfluo poiché lo sviluppo dei personaggi è buono per cui il richiamo musicale agli anni ‘90 non risulta necessario.
Alcune scene inoltre presentano degli espedienti di costruzione già visti e utilizzati nel primo film, come ad esempio il taglio su alcuni video di sorveglianza legato di seguito ai commenti dei protagositi.
In ultimo, l’interpretazione di Joanna Baszak (che impersona Veronika Kovach) risulta acerba, incolore e statica oltre che fuori asse rispetto al livello degli altri attori, non compromettendo però il risultato generale delle scene in cui compare.

CITAZIONE
“Prima c’è un’occasione e poi c’è un tradimento”

VALUTAZIONE
70/100

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