Non ho tempo da perdere, romanzo intimista del giudice Innaria

 

Comunicato stampa

 

E’ fresco di stampa “Non ho tempo da perdere” (Casa Editrice Prova d’Autore, 2019), esordio letterario di Giuseppe Artino Innaria, giudice civile presso il Tribunale di Catania.

Il romanzo è una lunga confessione, in prima persona, di Salvatore, che, alla soglia dei quarant’anni, fa i conti con un rapporto sentimentale ormai agli sgoccioli e il desiderio di paternità. L’imminente compleanno è una occasione per fare un bilancio della sua vita e tentare il rilancio.”

Non ho tempo da perdere”, spiega l’autore “è stato partorito da uno stato d’animo preciso, vissuto a ridosso dei miei quarant’anni, una sorta di risveglio da un lungo torpore, misto a indolenza. Di colpo, nell’aprile del 2010, avvertii un mutamento nella percezione del tempo, non più risorsa abbondante ma ormai limitata, a scadenza, piccolo tesoretto da non sprecare. Capii, tutto d’un tratto, che ero passato da una fase in cui potevo dirmi ‘Hai tutta una vita davanti!’ ad un’altra in cui ‘Sbrigati! Non hai più tempo da perdere!’.  Quella sensazione di un tempo cambiato ha gettato il seme di una crisi interiore. A quarant’anni, se non sei sposato e non hai famiglia né figli, ti interroghi se non ti manchi davvero qualcosa, se la tua solitudine basti veramente a se stessa. Cosi, a poco a poco, ha preso corpo il mio alter ego, Salvatore, il protagonista del libro, alle prese con il bilancio di una esistenza, alla soglia dei suoi quarant’anni, che tenta di trovare un senso alla sua storia con Monica, e soprattutto, forse, un senso alla sua vita intera”.

 

 

“Salvatore” prosegue Giuseppe Artino Innaria “si accorge che la sua vita e la sua relazione sentimentale con Monica sono impantanate in un presente senza prospettiva, senza proiezione nel futuro, ma questo immobilismo gli va comodo, non ha nessuna intenzione di schiodare. Il suo percorso di autoanalisi non è immediato. In prima battuta, ribalta su Monica le accuse che dovrebbe muovere a se stesso. Invece, è lui immobilizzato nel presente, al punto che quando Monica, più consapevole della palude in cui è caduto il loro rapporto, spinge per un passo in avanti (una convivenza o forse qualcosa di più, il matrimonio), il fragile equilibrio di coppia si sgretola. Salvatore, inevitabilmente, viene avviluppato da una spirale di riflessioni, in cui prende piena coscienza del vuoto della sua esistenza, dello spreco che ha fatto della sua libertà, della barriera egoistica che lo separa dagli altri. L’aspra verità è che non è disposto a cedere nemmeno un millimetro del suo spazio individualista, gli piace regnare sovrano su un territorio precluso ai suoi simili. Ma questo regno, in cui gli ideali sono svaniti, in cui i sogni sono spenti, in cui l’incanto del mondo è smarrito, assomiglia più ad un deserto di noia che ad un giardino fiorente. L’orologio biologico fa scattare in Salvatore il desiderio di paternità, che è qualcosa di più di un mero istinto naturale, è pure il tentativo di rintracciare un senso, cui aggrapparsi, di ridare progettualità alla propria esistenza, di imprimerle una direzione ed un destino, ma i mille interrogativi, con i quali circonda questo suo impulso ad essere padre, sono il chiaro indice che la sua è soltanto velleità. Tuttavia, questo desiderio incompiuto, che forse è destinato a rimanere tale, è la chiave di volta della sua evoluzione, perché gli consente di capire dove si è smarrito e dove può ritrovarsi. Negli occhi pronti alla fantasia ed alla meraviglia di quel bambino, che ha smesso di essere, sta la capacità inesauribile di sognare ed entusiasmarsi, che unica può riaccendere l’incanto del mondo e la voglia di progettare il futuro. Soprattutto quel bambino che ancora non c’è reclama attenzione, lo avverte che solo il prendersi carico degli altri, l’uscire dal proprio guscio per condividere sentimenti e responsabilità sono la premessa di una vita densa di significato.  La confessione di Salvatore, scritta in prima persona, dichiarando il proprio nome fin dall’inizio e firmando il testo alla fine, è un atto di catarsi del proprio io, un bagno di umiltà prima di andare incontro all’altro, al mondo fuori. Salvatore incontra nel sogno due bimbi e li abbraccia protettivo, poi si rimette in cammino e lo fa, nella realtà, con il rito del viaggio, con un pellegrinaggio verso una figura simbolo della fede in un ideale, Nelson Mandela”.

Il libro è preceduto dalla prefazione di altro magistrato scrittore, Simona Lo Iacono, che con il suo “Le streghe di Lenzavacche”, nel 2016, è entrata nella rosa dei dodici candidati al Premio Strega.

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