di Dunia Elfarouk

“Pensa che bello se fossimo liberi da ogni angustia, se fossimo solo degli emigranti (…).

No Rilke, no Melville, ignorantissimi.” Pensa che bello.

 

Fare dell’arte una questione ideologica, è la storia a narrarcelo, a chiari scanditi eventi,  conduce, ab immemorabili, al compimento dei peggiori misfatti. A danno delle idee stesse. Ad ostracismi, negazioni, distorsioni dei significati.

Delittuose manipolazioni del pensiero. A danno delle idee stesse.

Del fatto che l’arte prescinda da ogni sorta di appartenenza politica e/o ideologica e che la medesima debba perseguire le più ampie e incondizionate libertà e liberalità, voci autorevoli e disparate, lungo i secoli, hanno tentato di trasmettercene inequivocabile messaggio: ci hanno provato, in ordine sparso, Foucault, D’Annunzio, Marinetti,ma anche il buon Apollinaire, Voltaire e tanti altri.

Di fronte alla sfida di un’epoca quanto mai anti illuminista, ci riprovano Edoardo Sylos Labini, Paolo Levi, Luna Berlusconi e Pietro e Sandro Serradifalco, precisamente in sede di presentazione di “Artisti 2019 . Annuario Internazionale d’Arte Contemporanea”, volume di divulgazione e sintesi di tutto ciò che c’è da sapere sulla realtà artistica odierna, il giorno 28 marzo del corrente anno. L’opera, invero, raccoglie le voci più determinanti e varie dell’arte contemporanea, ne fa compendio e gradevole narrazione. Vi trovano spazio istanze molteplici e diversificate, aspirazioni differenti e, per taluni versi, indubitabilmente distanti. Eppure in un’armonia collettiva.

In copertina, l’arte di Vesna Pavan, significativa portavoce del movimento Skin, autrice dalla personalità artistica complessa, articolata, contraddittoria e, per questo, grandemente interessante. In particolare, nel momento in cui raffigura universali tormenti e rivelazioni oniriche attraverso ri-composizioni liriche e astrattismi grafici in tinte accese. Così come avviene negli spazi ritmati di rosso su bianco che introducono “Artisti 2019”.

Che l’arte, ma, ancor prima, il (libero) pensiero debbano essere aporetici ce lo raccontò, a suo personalissimo modo, il primo martire per la democrazia: Socrate, propulsore ante litteram di ogni messa in discussione del precostituito, com’è noto, non aveva altro scopo che quello di muovere gli animi degli Ateniesi verso nuove consapevolezze, scuoterne le fibre intellettuali, ricondurli ad una salvifica via d’uscita dal torpore dello spirito. Non v’era, quindi, nè una direzione predeterminata nè una linea già tracciata; nella dialettica socratica, v’erano, per il vero, sollecitazioni del pensiero, sismi delle idee, rivoluzioni auspicate e chiaramente non preindirizzate. In una simile ottica di dichiarazione di indipendenza di pensiero, si manifesta la necessità contemporanea di un ripristino della libertà di espressione creativa volta a ridare dignità al mestiere intellettuale che, nei secoli, ha veicolate le urgenze e anticipato le dinamiche sociali: l’artista. Questo, altresì, in sintesi, uno degli scopi, parafrasando le parole di Sylos Labini, di Cultura  Identità, rete di aggregazione culturale e artistica di cui è patrocinatore: ridestare la coscienza culturale a partire dal suo elemento identificativo originario – le radici.

La “sapienza umana” del filosofo che “non aveva niente da insegnare”  molto rassomiglia, infine, alla “coscienza collettiva” junghiana che, a dirla in termini contemporanei e non lontani dal lessico di “Artisti 19”, necessita un superamento dei contrari, una sanificatrice congiunzione degli opposti, un risolutivo superamento delle dicotomie apparenti.

In altre parole, “Chi pensa il più profondo, ama il più vivo,

Sublime gioventù intende, chi ha guardato nel mondo,

E finiscono i savi sovente

Con inclinare al Bello.”

Ed il Bello non conosce appartenenze. Supera le dualità. Vi si innalza.

 

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