C’era una volta il sud, ora non più
di Lena Benedetta de Falco (laureata calabro-barese trasferitasi a Milano)
Scrolliamoci un po’ da dosso quel berrettino alla Totò di Nuovo Cinema Paradiso, gli spot pubblicità regresso ” Sicilia, terra magnifica”, ” Puglia, la regione più bella del Mondo” per National Geografic, “Basilicata=Matera”, ” La Calabra magna Grecia”. Lasciamo cadere il nostro berretto magico che ci santifica a gran personaggio statuario del cinema degli anni 80, baluardo del nostro fascino ribelle e mettiamo i piedi per terra.
La terra della xylella, la terra dei disastri ferroviari, la terra bruciata dalla mafia, la terra bramata da Briatore, la terra di paesi arcipelago abbandonati, dissestati e disastrati, la terra dell’Ilva, la terra dei fuochi.
E adesso chi cammina su questa Terra? Dov’è? Nella Terra del Nord. Ancora il dicotomico prevale sull’ unitario.
Francesco, nasce a Bari e ci studia non è male però alla fine “c’ma fa d Bar? non è abbastanza.
“Pa, Policoro fa schifo io me ne voglio andare.”
“Zia io qui non ci rimango ti avviso che palle”
“Ma perché io no? tutti vanno fuori.”
Anche noi siamo stati attratti dal diavolo e accolti tra loti sparsi nel suo letto, cadendo nell’inganno. L’ inganno che il bene sia fuori casa, e il benessere nel primeggiare, nella violenza pressante che essere riconosciuti dagli altri significa dover essere i primi dei primi tra quelli che fanno la stessa cosa tua. E quindi anche noi ci siamo fatti ammaliare e siamo passati dal sole ai soldi, dal vino con i cumpari allo street food, dalla sagra del tartufo alla fiera del cibo. Ci siamo geometrizzati ricomposti e siamo “saliti”, ma adesso sembriamo storti, snaturati, inconsapevoli. Ci siamo un po’ venduti anche per necessità. E nonostante le prestazioni lavorative siano sempre più in settentrione, additano i terroni come pigri. Che ridere, perché per poche cose l’infinito perdura nel tempo, in primis per l’ignoranza. E l’ignoranza mi fa ridere infinitamente.
Nel perenne e desolante divisionismo tra tacco e collo dello stivale italiano in realtà ci siamo tutti noi, gli italiani.
La prima città più vivibile secondo la classifica del Sole 24 ore nel 2018 è Milano la quale sembra contare più Campani che Milanesi come del resto raccontano gli sketch comici della casa di produzione “Casa Surace” e statistiche per tasso di spopolamento al Sud.
https://thevision.com/attualita/sud-migrazione/
Ma l’Italia è rincuorata, risplende d’immenso e si fregia di questo onore: la prima città d’Italia per vivibilità è la città meno italiana o meglio la meno rappresentativa, eppure nessuno se n’è accorto.
Nel millantare il primato dell’antica Medialonum si indebolisce e demolisce il resto dell’Italia che da Milano di certo non è rappresentata ma anzi messa alla berlina. Incoraggiante ma deludente eleggere Milano la prima città vivibile in Italia, una città più europea che italiana, lasciando annegare qualsiasi altro tipo di dimensione più rappresentativa di un nuovo sistema italiano più sostenibile. Sebbene sia difficile capire cosa significhi essere italiani, non si può eludere che il resto d’Italia è ben distante da un sistema milanese. Di base le classifiche come metodo valutativo negano la vis delle sfumature, delle piccole imprese e la buona etica, ostracizzano le piccole realtà premiando l’esterofilia.
Una classifica dunque che non vuole valorizzare veramente un nuovo Stato, una nuova Italia, ma solo quell’unica città che ad oggi riesce a definirsi europea, internazionale, moderna, in una gara avanguardistica e faticosa. Parziale, è un metodo molto parziale e superficiale per valutare le condizioni di un paese e risollevarlo dai pregiudizi.
Quell’incantevole classifica condivisa da neo laureati in Economia o peggio ancora da operatori culturali è cieca ed è anche uno strumento limitante per descrivere e affrontare una società postmoderna, condannandoci a una lettura molto opaca. La cecità deve essere curata perché genera oscurantismo e cinismo.
La colpa non è di Milano, anzi. Di molti ma in primis nostra, i viandanti meridionali: tradiamo la nostra famiglia, la nostra terra, l’origine. È evidente dall’assenza di tutela per molte zone abbandonate e dirottate del Sud in quanto non godono di rispetto da chi vi abita; queste non potranno auspicare un destino migliore da chi le visita o da chi le governa. Aspettiamo che qualcuno ci aiuti, che lo Stato faccia qualcosa per noi, che arrivi un altro Garibaldi (stavolta sudista) galoppando sul Nuovo Iphone 1230 S a Forma di Unicorno.
Le città abbandonate cosi aumentano, glorificando una semplice memoria iconografica senza profondità: ci rimangono cartoline di un bel mare, di una bella piazza, di bella gente, di belle cose, di un’atmosfera decadente. Cosi la raccontano e cosi la raccontiamo, la terra senza possibilità dove possiamo non sforzarci, il cui fascino racconta la propria sopravvivenza, come una ginestra nel deserto: la bellezza che resiste al tradimento della memoria sembra tutt’ora solo un miracolo, che si incarna in dogma, non problematizzato o affrontato.
La bellezza salverà il mondo oppure lo offuscherà.
“Per incontrare una provincia della punta dello Stivale nella classifica del Sole 24 Ore delle città più vivibili bisogna scendere fino alla 73ª posizione dove c’è Ragusa. Solo dopo si trovano le altre siciliane, calabresi, lucane e campane. Quattro province pugliesi, poi, scivolano tra le ultime dieci (Brindisi, Barletta-Andria-Trani, Taranto e Foggia). In controtendenza – nella performance rispetto all’anno scorso – solo Lecce, che sale di 12 posizioni al 92° posto, e Bari che guadagna nove posizioni. Si piazzano nella parte bassa (-18 posizioni) anche Enna e Crotone.
I parametri utilizzati sono stati suddivisi in sei macro-aree: “Ricchezza e consumi”, ”Affari e Lavoro” , “Ambiente e servizi”, “Demografia e società”, “Giustizia e sicurezza”, “Cultura e Tempo Libero”. Parametri che rendono facile ogni previsione di esito, penalizzando i più deboli. Quanto questi parametri possano dare spazio e visibilità ad una piccola porzione d’Italia è evidente quanto l’impossibilità per tante zone del meridione di non poter vantare nessuno di questi aspetti. Certo ma per un’assenza di responsabilità politica statale da cui ne deriva vertiginosamente quella locale. Lo sforzo allora è questo: unire i punti, gli elementi e chiedersi se questo divisionismo non sia altro che assenteismo, ignavia, indifferenza ed apatia nel migliorare il nostro presente. Ci siamo fatti scivolare addosso tutto e tutti.
Nonostante lo spopolamento del meridione, non si rintraccia, ancora, alcun riconoscimento per chi contribuisce a far marciare la macchina economica dello Stato prescindendo da una delimitazione geografica oltre o sotto il Po’. Poche tracce di unità, di uguaglianza, di rispetto e di appartenenza tra connazionali si possono ravvisare nel sentimento di rabbia tra gli over 50 di un fallimento politico e di una preoccupante disillusione tra le nuove leve. Da qui aleggia una forma di nichilismo e vittimismo ormai insopportabile.
In Francia i gilet gialli ribaltano Parigi. Noi ribaltiamo mode e modi di vivere in base all’opportunità, ci rimbocchiamo le maniche per prestarci a qualsiasi opportunità escludendone o ignorandole qui, ci prestiamo con dedizione a farci i risvoltini dei pantaloni per la Fashion Week o aggiornare Instrgram in occasione del Festival del Cinema di Venezia.
Svegliamoci Italiani, brava gente. Staccate per 24 ore il Sud dal Nord ed i terroni da lassù: non rimarrebbe vivo nessuno, neanche il Sole 24 ore.