di Dunia Elfarouk
Sguardi. Omaggio a Leonardo. Opere fotografiche di Jitka Hanzlová
Museo della Certosa di Pavia. 12 ottobre-15 dicembre 2019
L’indagine del mondo naturale diviene nel Rinascimento un utile strumento di analisi del destino dell’uomo, il quale non può prescindere dalla consapevolezza della realtà fisica in sui si insedia e che intende dominare. La filosofia naturale, l’approfondimento della condizione umana e la scienza sono le chiavi attraverso cui questa nuova fase della cultura si evolve per raggiungere maturità.
In particolare, la Lombardia, ma ancor di più il suo centro nevralgico milanese, verso la fine del quindicesimo secolo, si trova nell’anticamera storica di un’articolata rinascita culturale e commerciale. Leonardo raggiunge la città, presumibilmente, intorno al 1481. Ed è in quell’epoca e in quel contesto che ha luogo l’incontro tra Ludovico il Moro e il proteiforme genio vinciano. Il Maestro giunge nella regione che sarà nodo pulsante di incontri rivelatori e nuove ispirazioni, inizialmente per portarvi la sua musica e per indagare, attraverso di essa e le altre arti poi, l’aspetto della vita che più lo affascina, ovverosia ciò che è oltre le sembianze apparenti delle cose. Tuttavia nell’approfondire l’invisibile, l’Artista opera interventi progettuali sul lato più visibile e plastico dello spazio: l’architettura.
Si pensi che con la grandiosa complessità della sua arte – che è anche e soprattutto ingegno costruttore (tant’è che verrà nominato dal duca “ingegnere del ducato”) – Leonardo giunge a concepire una vera e propria revisione dell’aspetto urbano della metropoli: progetta la sua suddivisione in dieci città e, quindi, la sua decentralizzzazione.
Oltre che a Milano, Leonardo deve molto alla vicina Pavia, non soltanto per gli studi che ivi vi compie, in particolare in ordine ai temi di scienza e anatomia umana, altresì per le progettazioni che in tale sede sviluppa sull’architettura medesima, sul rapporto con l’antichitá e sulla revisione di determinate concezioni culturali legate ancora a retaggi medievali, lui che fu definito l’ultimo dei primitivi e il primo degli esponenti della rivoluzione avvenuta in cuore al Rinascimento italiano.
Non poteva esservi, quindi, luogo più adatto della Museo della Certosa di Pavia per ospitare una mostra mirabilmente in grado di dare lustro al grande genio, quale quella della Hanzlová, poiché emblema, il luogo stesso, della rinascita culturale messa in atto dalla famiglia Visconti-Sforza ed, altresì, custodia di innumerevoli tesori artistici.
È proprio nella Certosa di Pavia che Ludovico Il Moro e la moglie avrebbero desiderato trovare sepoltura, ma ciò non avvenne, poiché, come è noto, dopo la morte del sovrano, intervenuta presso il castello di Loches, la salma non venne mai rimpatriata. Rimane simbolicamente nella Certosa il sarcofago in marmo che scolpisce le salme dei nobili congiunti, ma che non venne mai adoperato allo scopo preordinato, assieme ad altre innumerevoli espressioni della storia del ducato.
Più ampiamente, la composizione artistica all’interno del Museo della Certosa è forte di una connotazione intellettuale volta a dare ragione e spazio a figure connesse da legami psicologici e mistici universali.
La Certosa e il suo Museo hanno celebrato, non solo, ab origine e in senso storico e storicizzato, i fasti e le glorie viscontee, bensì hanno offerto i propri enormi spazi al brulicare dell’arte anzi tutto lombarda e proveniente altresì da altri centri italiani. Di qui lo spontaneo rivolgersi ad un respiro più ampio dello scenario artistico dell’epoca. Valevole di nota lo slancio volto a oltrepassare l’ancestrale e sempreverde gelosia e assoluta vanagloria verso ciò che si possiede in famiglia, che quivi si è spinto e sospinto, anche nei secoli a venire, alla valorizzazione delle arti provenienti dai più disparati luoghi, purché nel segno di un unanime seppur poliedrico pregio artistico.
L’indiscutibile vanità e l’altrettanto fuori da ogni discussione ricercatezza nei dettagli l’architettonici e stilistici hanno reso gli  ambienti museali certosini di innegabile interesse internazionale.
È curioso, anzi tutto, come la struttura architettonica che ospita i fasti della Certosa si ispiri ad una geometria essenziale e decisamente in armonia con la più immediata procedura di sovrapposizione di campi rettangolari. Al pari del più elementare e sacro esercizio aritmetico di orientamento e organizzazione degli spazi. Similarmente, la gloria estetica che il museo ospita trova elemento di ristoro e di rasserenamento dei fasti pittorici negli elementi ornamentali essenziali, ciò vale per le guise quanto per i materiali. L’unico scopo: valorizzare la miracolosa profetica forza degli elementi scultorei e pittorici che gli spazi racchiudono.
La volta, per prima, scaglia allo sguardo vivide ragioni di tumulto stendhaliano. Sorpresa e turbamento in sincrono vigore.
La resa delle figure, variopinto richiamo a momenti anticipatori il cristianesimo ma ivi racchiuvisi in modo disvelato, di esso a tratti espressione di inquietudine mistica, non accusa le tracce del tempo. Ne offre nuove pieghe di più trasversale lettura. La Grecia classica in un tripudio di scene a vivaci tratti di colore esala i suoi sentori preomerici esibendo sembianze femminee vittoriose su forze oscure. Debolezze subumane.
Invero, le figure di donna governano e divengono regali messaggere di vittoria all’interno di raffigurazioni a tratti mostruose, a tratti in sofferente ascesa verso una dimora finale. Creature dalle fattezze antropomorfe capaci di rivelare il ruolo centrale del soggetto salvifico protagonista.
Figure mitologiche vicine alla più pura accezione del termine greco mythos, in cui nulla prescinde, anche nell’apparente distonia e difformitá estetica, nella peculiare narrazione degli eventi e delle scene che mescolano naturalistico, campestre e fantastico, l’unico leit motiv: il sacro.
Vi sono, dunque, distese lungo la volta, le più svariate narrazioni pittoriche assecondanti il fenomeno naturale della tradizione fantastica raffigurante il sacro. Trattasi di una perfetta commistione tra la tradizione Greca e Romana. Quindi Cristiana.
Urge, allora, in tale contesto di idee e sentimenti, per onorare il genio dirompente di Leonardo e la promessa di un nuovo Rinascimento, un’occasione scenografica adatta a mettere in dialettico rapporto il vigore estetico e rivoluzionario della ritrattistica rinascimentale stessa e il contemporaneo: ecco la fotografia di Jitka Hanzlová raccontare una “renovatio” delle arti in chiave postmoderna nella mostra che ha luogo presso il Museo della Certosa di Pavia e che si concluderà il prossimo 15 dicembre.
La fotografa elegge quale sede del suo lavoro proprio i luoghi cari a Leonardo, a cui la mostra si propone di offrire omaggio. Egli, esemplare sperimentatore del rapporto tra uomo e ambiente naturale, diviene modello ispiratore per l’artista cosmopolita che utilizza la luce con il chiaro scopo di connotare di assenza la dimensione temporale in cui i soggetti sono protagonisti. Questi ultimi appaiono, nel contempo, perfettamente collocati all’interno di un paesaggio evanescente eppure definito in dettagli particolareggiati secondo un processo morfologico scrupoloso nelle sfumature di trascendenza cromatica, negli angoli d’ombra e di luminosità. Nelle profondità ambientali che si propongono risultante proiezione esterna dei luoghi intimi, dei segreti dell’animo umano. Spazi geograficamente inconfondibili risultano il pretesto fisico per approfondire gli sguardi, le inquietudini, gli stati interiori dei soggetti ritratti. Quindi gli scenari diventano locus, nel senso più letterario o, forse, addirittura mistico-poetico: metafora di indagine di i-stanze spirituali individuali interne alla personalità raffigurata.
Leonardo, colui per il quale, per antonomasia, l’arte e la scienza non dovevano e non potevano essere considerate estranee e distanti ci insegna che l’uomo e la natura colti nella pittura (ed oggi nella fotografia) sono esperimento di scienza, chiave di riproduzione e rivelazione della realtà per ottenere di essa miglior lettura e comprensione. Poiché, tramite tale procedimento, si giunge all’esito più vicino al vero, ad una dimensione fisica del mondo sintetizzata nell’atto della più illuminata delle esperienze deduttive umane: l’arte.
Se è vero che la scienza è una fatica intellettuale rivolta verso la migliore delle verosimiglianze, allora lo sforzo conforme all’intento leonardesco di Hanzlová accolto nel più perfetto degli scrigni rinascimentali non potrebbe risultare meglio riuscito.

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