di Trifone Gargano

docente, autore e divulgatore

trifone gargano

Un odioso malvezzo della scuola italiana (e di certi professori) è quello di assegnare un “mare” di compiti per le vacanze estive ai propri (malcapitati) studenti.

Inondarli di esercizi, di tabelle, di riassunti, e, ciliegina sulla torta, di letture. Nulla di più odioso, e di più inefficace. Nulla di più controproducente. Questi sedicenti professori non comprendono che la strada che percorrono, con imposizioni e divieti, è la via maestra per allontanare i ragazzi dalla lettura, non per avvicinarli. Gli studenti, al contrario, vanno emozionati e incuriositi, non obbligati a leggere. Vanno guidati a scoprire la lettura come piacere. La lettura come carezza per i propri sentimenti, per le proprie paure, per le proprie ansie. La lettura come costruzione di sogni e progetti (per la vita, non solo per un’estate). Si provi, allora, a rovesciare il paradigma. A lasciare strade e autostrade battute, e a seguire sentieri inesplorati. Si provi a lasciarli liberi, di leggere, o di non leggere, gli studenti.

La parola «vacanza» viene da «vacantia», neutro plurale sostantivato di «vacans», participio presente di «vacare», che significa “essere vuoto”, “libero”. Questo dettaglio etimologico sfugge, evidentemente, agli illustri (pseudo) professori. In vacanza, lo studente deve restare libero da impegni scolastici cogenti d’ogni tipo. Punto. Si lavori, invece, a tempo debito, e con le migliori strategie di coinvolgimento attivo e condiviso, per accostarli alla lettura, alle “storie”, alle narrazioni.

Come faceva, per esempio, il maestro Pier Paolo Pasolini, professore supplente di scuola media, che, per incuriosire i suoi studenti, e per spiegar loro le desinenze della seconda declinazione latina, s’inventava, in classe, la storiellina dell’Idra a tre teste, il mostro «Userum».

In autunno, alle riprese dei doveri scolastici, per le letture da suggerire in classe, si provi, dunque, a non ricorrere più all’«usato sicuro», ai soliti Calvino, Sciascia, Manzoni, Pirandello, ecc., ecc. Si provi a lasciare le strade e le autostrade della tradizione letteraria più trita, per seguire, invece, sentieri inesplorati, e percorrere piste mai (o poco) battute del bosco letterario, dalle quali spira aria fresca (e nuova).

Ci si lasci travolgere dalle folate fresche delle nuove narrazioni multi-codali. Da quelle narrazioni che corrono su carta, ma anche su Tik-Tok, o su Instagram, nella grande ragnatela del WWW. Narrazioni che parlano ai nostri cinque sensi, che chiedono, cioè, di essere viste, annusate, toccate, udite e assaggiate. Narrazioni multi-codali e multi-direzionali, reticolari, a più dimensioni, come già avevano sognato e prefigurato, più di cent’anni fa, i futuristi.

Dimenticare i Classici, dunque, tanto per parafrasare Salvatore Quasimodo («dimenticate i padri»), visti gli orrori che, comunque, quella cultura ha prodotto (e il riferimento, purtroppo, non è soltanto alla seconda guerra mondiale, cui i versi di Quasimodo rinviano, no, il riferimento è anche all’oggi, al nostro presente più doloroso e insanguinato).

È tempo di inventare una nuova tradizione letteraria, non asservita, che parli all’uomo, che sappia emozionarlo, e che ne faccia un cittadino attivo.

1 thought on “Dimenticare i classici

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