di Pierluigi Ciritella

psicoterapeuta psicoanalista

 

“Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

 

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!”

 

 

L’affascinante racconto del viaggio di Dante inizia con la rappresentazione di una delle emozioni che più spesso proviamo nella vita: la paura.

“Non ci sono statistiche in grado di stabilire quante volte nella nostra esistenza abbiamo paura, ma, approssimativamente, abbiamo paura molte più volte di quante volte esprimiamo la nostra rabbia, o siamo tristi, o felici o ci disgustiamo per qualcuno o per qualcosa”

Appare d’improvviso se un boato ci fa sobbalzare sul divano mentre siamo immersi nella nostra lettura preferita, se il sussulto del suolo su cui poggiamo i piedi ci avvisa di una scossa tellurica, se il telefono suona nel cuore della notte, se percepiamo nella nostra abitazione silenziosa un rumore provenire da un’altra stanza, se uno strano dolore ci segnala qualcosa che non va nel corpo che siamo e che abbiamo, se, come per Dante, si affaccia alla mente il ricordo di una brutta vicenda in cui siamo stati coinvolti.

La paura è sempre presente dentro di noi, sottotraccia, scava rivoli sottili e invisibili e forma fiumicelli carsici che emergono e si palesano alla nostra coscienza inaspettatamente.

La rappresentazione della paura che ne fece il pittore norvegese Edvard Munch dipingendo “L’urlo” nel 1893, è una vera e propria icona, e lo è diventata davvero entrando a far parte delle cosiddette emoji o emoticons tanto usate nei social media. Il dipinto, riprodotto dall’autore in più versioni, non potrebbe descrivere meglio la reazione psicologica generata da un evento esterno cui si assiste, o a qualcosa d’indefinito che nasce nella mente di chi la prova.

“La paura ci costringe a metterci in contatto con noi stessi, con la nostra finitezza, con i nostri limiti”

La paura della morte, della malattia, della solitudine, di subire la perdita di persone care è inscritta nella mente di ognuno.

L’idea di paura è strettamente legata a quella della vulnerabilità e, infatti, l’emozione della paura è fondamentale per la sopravvivenza ed emerge, almeno negli animali appartenenti a una scala zoologica superiore, proprio come meccanismo difensivo e protettivo. Riconoscere un pericolo e mettere in atto le contromisure, che siano la lotta contro un predatore o una fuga a gambe levate lontano dal pericolo, è un meccanismo atavico innato che consente la sopravvivenza di singoli individui e dell’intera specie.

Nell’uomo la rarissima sindrome di Klüver-Bucy determina l’assenza dell’emozione della paura il che mette a repentaglio la sicurezza della persona che ne è affetta. La paura non è certo un’emozione piacevole e nessuno di noi vorrebbe mai aver paura, eppure tante persone la ricercano mettendo in atto comportamenti pericolosi ed estremi.

Pratiche come il bungee jumping, per esempio, o le spericolate attrazioni nei parchi divertimento come le montagne russe, danno la possibilità di vivere la paura in maniera così intensa da creare per qualche momento in chi la prova una sorta di stato di ebbrezza. Non solo, ma alcune persone sono particolarmente appassionate dal genere cinematografico dei film horror le cui immagini fanno balzare il cuore in gola; per alcuni la suggestione ricevuta dalla visione di scene molto violente è così forte da rimanere a lungo impresse nella mente e finanche da impedire il sonno.

Qualche volta la paura è così forte e mista allo sgomento dell’impotenza da lasciare impietriti.

In preda alla paura tremiamo e siamo come percossi da qualcosa contro cui non siamo capaci di reagire.

Questa immagine è racchiusa nell’interessante etimologia stessa della parola “paura” 

Essa deriva dalla radice indoeuropea pat- col significato di percuotere e in senso figurato incutere timore, atterrire. Da questa radice derivano il greco παίω (paio) = io percuoto e il latino pavor = paura, timore, dal verbo paveo (prima ancora patveo) = sono percosso, sono abbattuto e in senso lato, io temo, io ho paura. La parola “pavimento” ha la stessa radice, e, infatti, il pavimento è lì per essere appunto battuto, calpestato. Il significato latino di paveo è da ricollegare al significato della parola tedesca angst, che ha la stessa radice etimologica di angoscia e ansia. In latino invece la parola che esprime il concetto di paura per cose reali e concrete è timor, il cui significato è affine a quello delle parole tedesca furcht e inglese fear (dall’inglese antico fær = calamità, pericolo improvviso, pericolo, attacco improvviso, dal proto-germanico *feraz = pericolo, radice anche del lontano antico sassone “agguato” e del lontano antico nordico “danno, angoscia, inganno”).

La paura estrema, sconvolgente e del tutto irrazionale è invece la fobia, dal verbo greco φοβὲω (fobeo), che vuol dire scompiglio, metto in rotta, sbaraglio.

Queste brevi digressioni indicano quanto complessa e articolata sia l’espressione della paura che non è solo una semplice reazione difensiva di fronte ad un pericolo (questo è vero negli animali), ma può nascere da mille differenti condizioni che siamo realmente chiamati ad affrontare nella vita, o che invece nasce nell’oscura profondità del nostro inconscio e si trasforma in ansia immotivata o nella spaventosa vertigine dell’attacco di panico.

Panico è parola che evoca boschi incantati, sorgenti cristalline e ninfe giocose che indugiano in bagni sui bordi di stagni e laghetti; inermi e vulnerabili possibili prede di un dio satiro: Pan, figlio di Ermes e della ninfa Driope che lo abbandona alla nascita per il suo terribile aspetto, metà uomo e metà capra, il busto è umano, il volto è barbuto e dall’espressione terribile con corna caprine, zampe irsute e zoccoli. Pan, dio dalla sessualità selvaggia, identificato dal Cristianesimo con il diavolo, una volta individuate le ninfe sue prede sessuali, le pietrificava con urla terrificanti, in maniera tale che, paralizzate, poteva possederle senza doverne vincere le resistenze.

Forse è per questo che nell’immaginario collettivo è prudente, soprattutto per le ragazze, evitare di attraversare i boschi: lì si nasconde il pericolo, come nella celeberrima fiaba di Charles Perrault poi ripresa dai fratelli Grimm, “Cappuccetto rosso”.

L’attacco di panico è l’esplosione apparentemente immotivata di un terrore raggelante e pietrificante, incomprensibile, che nasce nell’inconscio, in cui convergono le paure di impazzire e di morire. Questa diffusissima e penosa condizione è osservabile ad ogni età ma è frequente soprattutto in adolescenza e nella giovane età adulta.

“Da cosa, dunque, è terrorizzata la persona che ne soffre?

Chi è il dio Pan che urla e paralizza?

Qual è la morte e la paura di impazzire che incombono

nell’improvvisa eclisse della ragione?”

Forse è la pura di vivere, la paura di lasciarsi andare pienamente alla vita e alle emozioni e di affrontarla con tutte le sue lusinghe ma anche con le sue sfide. E la sfida più grande da affrontare è quella di crescere, di diventare adulti, di diventare se stessi con coraggio. Ma il coraggio non esiste da sé, nasce solo se c’è la paura, per affrontarla, con rispetto, riconoscendola come costitutiva della nostra essenza umana.

La paura è in noi e ci protegge, ci accompagna, ci è amica, ci ricorda la nostra umana fragilità…

 

 

Dr. Pierluigi Ciritella Medico Psicoterapeuta Psicoanalista

Resp.le de “il Ruolo Terapeutico” Scuola di Formazione Psicoanalitica – Sede di Foggia

viale Michelangelo,145 – 71121 Foggia

Cell. +39 338 67 57 483

www.ilruoloterapeutico.fg.it

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