di Pierfranco Moliterni

critico musicale

C’è sempre da meravigliarsi nel constatare quanto la musica ‘colta’ abbia anticipato e/o commentato alcuni risvolti antropologici delle età della modernità. Proviamo dunque a mettere in fila i titoli di opere in musica che, in diverse età, hanno sviluppato il tema della magìa e del magico nelle credenze popolari. Si comincia con Il mondo della luna di Galuppi su libretto di Goldoni (1750), Orfeo e Euridice di Gluck (1762), Medea di Cherubini (1797) passando ovviamente da un capolavoro assoluto come Il flauto magico di Mozart (1791),  e poi il Mondo della luna diel barese Niccolò Piccinni per finire all’Elisir d’amore di Donizetti, all’Olandese volante di Wagner (1843) o al Mefistofele di Boito, via via sino alla Medium di Gian Carlo Menotti che è del 1946. Anche il ‘tarantino-napoletano’ Giovanni Paisiello si interessò al tema con alcune sue opere minori tra cui svetta, per simpatica trama, la commedeja pe’ museca alias operina buffa L’osteria di Marechiaro che costituì una bella attrattiva per i pubblico napoletano del secondo Settecento, proprio perché il genere musicale operistico, con al centro una storia di magìa e di magismi interessò molto, è facile capirlo, il pubblico popolare meridionale, napoletano soprattutto, come avvenne con L’Osteria di Marechiaro che Paisiello compose nel 1768 per il teatro Nuovo di Napoli e grazie al libretto di Cerlone .Là, nella città adagiata sul golfo, si svolge la storia di Chiarella con la sua osteria che si affaccia su Marechiaro dove sta anche la dimora principesca del conte Zampano il quale, manco a dirlo, è innamorato della bella popolana, ma per convenzioni sociali non può aspirare alla sua mano. Quindi Zampano non può che affidarsi all’ultima delle risorse possibili: il magico, gli esseri ultraterreni che abitano un mondo ‘altro’libero da quelle convenzioni e dai lacciuoli d’ogni sorta.

Un ritorno dunque alla natura forte, misteriosa e insieme ingenua si celebra in scena e con la musica di Paisiello quando all’improvviso, nella magione del conte Zampano, compare, anzi spunta fuori da una …bottiglia, uno spirito, uno spiritiello in forme umane liberato dalle suppliche del conte innamorato. Egli lo aiuta come sa e come può, e ilmonaciello trasforma in sassi, in automi, in macchine parlanti coloro i quali, i nobili, si oppongono all’amore-matrimonio (declassante per loro) con Chiarella la bella popolana, cameriera della osteria che si affaccia su Marechiaro. Tutta questa graziosa vicenda, impreziosita dalla musica effervescente di Paisiello, è stato inquadrata in una età in cui a Napoli, nella Napoli settecentesca, si andavano affermando le idee e i comportamenti dei fratelli muratori (massoni) con in testa il famoso principe di Sansevero Raimondo di Sangro, mezzo mago e mezzo intellettuale, esperto di chimica e di scienze occulte: una specie di Cagliostro partenopeo, la cui ‘cappella’ è ancor oggi visitabile a Napoli, mȇta di tutti i turisti che vogliano capirne di più.

L’operina è messa in musica da Paisiello con alcuni squarci popolari bellissimi come le scene del gioco della morra nell’osteria, le grida dei venditori di frutta, le intemperanze dei nobili avventori e il filtro magico che li ‘blocca’ letteralmente in scena facendoli diventare macchine parlanti. Dobbiamo infine notare che l’Osteria di Marechiaro fu a suo tempo recuperata, revisionata e messa in scena dal maestro Roberto De Simone, riconosciuto interprete moderno della cultura popolare della sua città. Fu il teatro di San Carlo che affidò a lui la revisione e la rielaborazione drammaturgica, e dal genio del regista e compositore partenopeo nacque nel 2011 uno spettacolo in due atti carico di rimandi paesaggistici, pregno di simbolismi archetipici, con cenni alla figurazione sessuale radicata nella parola dialettale. Amante delle donne è il conte Zampano, ammaliato dalla giovane e procace Chiarella a cui canta «Nenna mia aggraziata/tu na mbomma si’ pe me./Cuccopinto è l’artigliero/che dà fuoco e bò sparà». Che altro dire di meglio? Alla fin fine, la magìa è pur sempre il segno distintivo delle donne di ieri, come quelle di oggi. Speriamo che anche il nostro teatro Petruzzelli (e la sua direzione artistica) sappia e voglia recuperare simili piccoli capolavori al fine di sottolineare il peso specifico della cultura popolare, della ‘nostra’ cultura popolare pugliese e napoletana. Non di solo Verdi si vive!

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