Pieno vuoto milanese
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Galleria Vittorio Emanuele, Milano
di Enzo Varricchio
Siamo qui, a casa di Alda Merini, la casa-museo della poetessa dei Navigli. C’è la sua porta scarnita con scarabocchiati gli ultimi numeri con la biro. Sembra un testamento.
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Si presenta il CAM, il calendario dell’arte moderna Mondadori, la serata è organizzata in concomitanza con la consegna del Premio Fondazione Cea, una nuova realtà al servizio dell’arte contemporanea creata da due coniugi baresi trapiantati a Milano.
E’un ponte tra due mondi non così lontani come sembrano.
La mattina dopo siamo al MUDEC (Museo Delle Culture di Milano), a visitare la prima retrospettiva italiana su Banksi, il vecchio writer di Bristol che ha fatto fortuna; ormai è un’icona pop dell’arte contemporanea dopo la trovata del quadro autodistruttosi all’asta di Sotheby.
E’ il momento di battere il ferro finché è caldo e la macchina del marketing del ribelle più ricco del momento ha lanciato questa mostra che in Italia non poteva che approdare in primis a Milano.
Infatti, le sale del bellissimo museo straripano di visitatori paganti.
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E’ Natale. Si va in giro per le fantastiche vetrine a Via della Spiga, vere e proprie opere d’arte. Prezzi a prova di shopping compulsivo e nemici di qualunque portafoglio.
I negozi sono tutti vuoti o quasi. Dentro bei giovanotti (rigorosamente maschi) che attendono in piedi l’arrivo di pochi clienti, reggendo ormai malinconicamente un vassoio con il finger food di benvenuto. Negroni di due metri in giacca e cravatta rigorosamente neri stazionano davanti a porte che non si aprono né chiudono più di tanto.
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Pomeriggio a Brera. C’è da sublimare il vuoto dell’effimero con il “Cristo morto” di Mantegna e con la puzza di antico degli ampi corridoi dell’Accademia.
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Variazioni meneghine: flusso, sfarzo, luccichii, bellezza, desideri insoddisfatti, solitudine, malinconia.
A sera in Galleria, dal Duomo alla Scala e ritorno. Quanto seppe fare la borghesia ottocentesca.
C’è tanta gente da rimpiangere il vuoto, è una catarsi.