Peroni e Focaccia… Salviamo la faccia!

 

di Anna Spero

Che bella Bari. Abbiamo il mare, il sole, puoi pranzare o cenare con un euro. E poi dove la trovi un’altra città che segna ben 18° gradi il giorno della vigilia?

Questi sono più o meno i cavalli di battaglia argomentativi di chi difende a denti stretti il capoluogo pugliese.

Eppure da qua se ne vanno tutti.

E la prova vivente di questo esodo di massa che ha interessato la nostra regione negli ultimi dieci anni non è solo la relazione Istat, che dal 2008 al 2017 ha registrato a 20.000 il numero di under 30 che hanno lasciato la Puglia. La prova vivente è la quotidianità.

Basti pensare al periodo di Natale appena trascorso.

La città di Bari si ripopola ed anima di uno spirito allegro e frizzante che in gran parte del periodo dell’anno è del tutto assente.

E questa allegria non è di certo un fermento dovuto esclusivamente ai pranzi e alle grandi abbuffate.
Questa allegria siamo noi e i nostri amici coetanei, fratelli e sorelle, figli che per l’occasione tornano all’ovile.

Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe la mia città se solo abitassimo tutti ancora qui.

 

Ma cosa ci spinge ad andare via?

Per quanto scontate e tristemente note a tutti siano è doveroso menzionare che al primo posto ci sono ragioni di studio e lavorative.

A diciotto anni, chi ha la possibilità, sceglie di andare al nord o, in altri casi, anche all’estero per ottenere un titolo di studio che abbia maggiore prestigio o semplicemente per studiare in una facoltà che fornisca una formazione migliore.

Per il lavoro invece, ci toccherebbe aprire il vaso di Pandora per sviscerare tutte le cause politiche ed economiche che generano disoccupazione al Sud, precarietà, assenza di prospettive e spesso di crescita professionale.

La mentalità da clientelismo trito e ritrito dove si lavora solo per conoscenze e raccomandazioni, i tirocini a vita e lo stipendio che in gran parte dei casi non raggiunge nemmeno i mille euro.

Alle volte però il motivo che spinge molti ad andare via non è solo questo cancro sociale.

Tra i fattori complici della fuga, a rivestire un ruolo importante è anche la convinzione che “altrove” si viva meglio, che fuori sia possibile ricercare l’eccezionale che le nostre realtà invece non possono offrire.

Ma non sarà forse che pecchiamo di pigrizia?

Preferiamo crogiolarci nell’idea che nella nostra città non ci sia niente, che sia impossibile conoscere nuove persone e ampliare i propri orizzonti. Ci lasciamo vincere dalla routine perché in fin dei conti è più comodo vivere nella propria comfort zone e non mettersi in discussione.

Ph by The Simpson

Ripetiamo nelle nostre teste come un mantra che non abbiamo niente da fare, che qui si fanno sempre le stesse cose, che ci conosciamo tutti, senza invece considerare la possibilità che siamo noi a non volerci scomodare.

Non vogliamo prendere la macchina e andare fuori Bari se ci propongono di andare ad un concerto, perché venti chilometri sono “troppo lontani”; preferiamo frequentare sempre lo stesso locale ma poi trascorriamo la serata a lamentarci del fatto che siamo ancora una volta lì; quasi mai approcciamo sconosciuti con il desiderio di conoscere persone nuove.

I luoghi, le città, le opportunità, non sono entità astratte nelle quali per caso ci ritroviamo a vivere, siamo noi a creare il mondo circostante e a decidere come vogliamo che sia. Non possiamo di certo aspettarci che qualcosa cambi se noi per primi decidiamo di rimanere seduti a non fare nulla.

Spesso ci ritroviamo nella situazione in cui emigriamo dalle nostre città o dall’Italia per fare qualcosa che probabilmente potremmo realizzare anche qui, che si tratti di lavoro, di possibilità culturali o  di nuovi progetti. E’ comprensibile quando alcune opportunità sono più facilmente e concretamente realizzabili altrove, è comprensibile se pensiamo che la nostra vita è solo una e che vogliamo pensare al nostro, al qui e adesso, è comprensibile se pensiamo che non vogliamo costruire niente per la comunità e che vogliamo giocare da solisti. Ma non siamo delle isole, ed essere parte di una società significa anche voler e dover fare qualcosa per migliorarla, insieme. E per quanto questa sia una problematica la cui responsabilità va attribuita ai governi e alle politiche, in parte è una responsabilità anche nostra. In fin dei conti chi vorrebbe davvero trasferirsi, lasciare la propria famiglia, gli amici solo per necessità?

Spostarsi non dovrebbe mai essere una scelta forzata per mancanza di alternative, dovrebbe poter essere solo una decisione personale, un desiderio.

Allora andate, viaggiate, scoprite il mondo e arricchitevi di nuove esperienze, scoprite culture sconosciute e perdetevi nell’entusiasmo della curiosità e del nuovo.

Fatelo, ma poi tornate.

Tornate qui a riempire i vuoti e a mettere in pratica ciò che avete imparato fuori, costruiamo insieme un futuro diverso e a misura delle nostre esigenze, che non sia meno a nessun posto nel mondo.

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