Dante, settecento e non sentirli a Giovinazzo
Lectura Dantis
L’Amor che move il sole e l’altre stelle
Giovinazzo (BA) 26/03/2021 ore 19.00 in diretta streaming sulla pagina Fb di Culturaly
Riceviamo da Nicola De Matteo, direttore artistico dell’evento, alcune note di regia dello spettacolo, preziosi spunti per la preparazione alla visione di questo spettacolo che si annuncia intenso ed emozionante. Protagonisti dello spettacolo lo scrittore e giornalista Enzo Varricchio, nei panni di Virgilio, e l’artista Elisa Barucchieri, regista e performer di fama internazionale.
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PERCORSO NELLA COMMEDIA
Inferno, Antenòra. Nel lago ghiacciato del Cocìto sono immersi i traditori della patria, che hanno esercitato la frode a danno della terra stessa in cui sono nati. Un dannato attira l’attenzione di Dante e della sua guida, Virgilio. Addossato a un altro dannato, rosicchia bestialmente la nuca del suo compagno di pena. Dante gli domanda il perché di tanto violento odio e allora “quel peccator” solleva dal “fiero pasto” la bocca e se la netta con i capelli della sua stessa vittima. Vittima che in realtà era stata, nella vita terrena, il suo carnefice. Il dannato che infatti si vendica con tanta veemenza è il conte Ugolino della Gherardesca, pisano. Tradito dalle false garanzie del suo nemico, l’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, era rientrato a Pisa nonostante i ghibellini avessero ripreso il potere. Catturato, era stato rinchiuso nella Torre della Muda, insieme a quelli che Dante, per acuire il pathos, definisce suoi figli, sebbene si trattasse, in realtà, di due figli e due nipoti, nemmeno tanto giovani, diversamente da quanto il poeta ci mostra (l’unico ragazzo era infatti Anselmuccio). Ma, si sa, la poesia ha il potere di trasfigurare mirabilmente il reale; poco importa, così, conoscere quale tradimento avesse perpetrato Ugolino ai danni della sua patria (l’aver promosso la vicinanza ai guelfi?; la cessione, peraltro motivata, di castelli ai fiorentini e ai lucchesi?). Quello che conta è l’atmosfera possente, intessuta di sogni, di sguardi, di reticenze che hanno spinto alcuni a supporre addirittura una “tecnofagia” (atto di mangiare i propri figli). Una pagina cupa e straordinaria di storia, al termine della quale Dante prorompe in un’invettiva contro la città di Pisa.
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Diversa è l’atmosfera del Purgatorio. Dante e Virgilio stanno cercando il punto più sicuro per scalare la montagna, quando vedono arrivare un mansueto “gregge” d’anime, che cortesemente darà loro le indicazioni necessarie. Scopriremo che sono le anime degli scomunicati. Tra queste si staglia la voce di una figura che invita Dante a dire se per caso la riconosca; non è necessario che si fermi, per farlo. Può dargli uno sguardo fugace così, andando. Dante lo fissa ma non riesce a identificarlo; non l’aveva mai veduto. La sua presentazione richiama quella di tanti eroi bellissimi dei poemi epici: “biondo”, bello, d’aspetto “gentile”, cioè “nobile” nel formulario dell’epoca. Sul suo viso i segni della guerra e della morte: una ferita aveva spaccato uno dei sopraccigli. È Manfredi, figlio di Federico II e Bianca Lancia, morto a Benevento. A questa figura Dante dona note inimmaginabili di delicatezza; mentre Manfredi gli mostra, infatti, le piaghe del petto, ti sembra che il Sommo poeta stia accostando, in maniera più che audace, questo morto scomunicato per la violenza umana alla sofferenza del Cristo stesso. E, nell’atto di farlo, lancia un monito alla Chiesa, ai suoi rituali, alle sue disposizioni e precomprensioni: la volontà di Dio è imperscrutabile e il pentimento di un istante può riscattare gli errori di un’intera esistenza. E del resto, aveva detto Virgilio prima di quest’incontro, a Dante, come a chiunque si accosti alla Commedia: “se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria”.
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Nel Paradiso terrestre era mutata la guida di Dante. Alla sparizione di Virgilio, era subentrata la «regina de le virtudi», Beatrice, allegoria della Teologia, accompagnatrice del poeta in un percorso ora all’insegna della luce abbacinante, dell’armonia, di quella pace che consiste nella serena accettazione del divino volere. Attraverso nove cieli, Dante e la sua guida hanno dialogato con le anime che, dalla Rosa mistica dell’Empireo, si sono manifestate ciascuna nel cielo di cui maggiormente subì l’influsso. Le anime scendono dalla loro sede appositamente per dialogare con Dante; rispondono alle sue domande, che intendono ancor prima ch’egli le formuli perché leggono ciò che è “riflesso nella mente di Dio”. Dopo quest’esaltante percorso, Dante giunge all’ultima tappa. Nell’Empireo Beatrice torna a occupare il suo posto nella rosa celeste e san Bernardo, subentratole come ultima guida, mostra a Dante alcune anime di beati. Poi, affinché Dante acceda alla visio Dei, san Bernardo invoca la Vergine Maria perché interceda per lui presso Dio. È la celeberrima preghiera alla Vergine, tra i momenti più alti della Commedia e della letteratura internazionale. Abbiamo voluto affidarla a una voce femminile, che richiami la dominanza di Beatrice nel Paradiso e possa aiutarci ad accostarci con garbo all’eterno mistero di Maria.