Matteo (l’Evangelista che faceva l’esattore delle imposte), è l’unica fonte canonica a narrare in aramaico (antica lingua volgare palestinese) l’episodio dei Magi: “Dopo che Gesù nacque a Betlemme in Giudea, al tempo del re Erode, ecco giungere a Gerusalemme dall’Oriente dei Magi, i quali domandavano: dov’è il neonato re dei Giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo. All’udir di ciò, il re Erode fu preso da spavento e con lui tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e domandò loro: Dove dovrà nascere il Messia? Essi gli dissero: A Betlemme di Giudea. Infatti così era stato scritto per mezzo del profeta… Allora Erode chiamò segretamente i Magi e chiese ad essi informazioni sul tempo esatto dell’Apparizione della stella; quindi li inviò a Betlemme dicendo: Andate e fate accurate ricerche del bambino, in modo che anch’io possa andare ad adorarlo. Essi, udite le parole del re, si misero in cammino. Ed ecco: la stella che avevano vista in Oriente li precedeva, finché non andò a fermarsi sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella furono ripieni di straordinaria allegrezza; ed entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre e si prostarono davanti a lui in adorazione. Poi aprirono i loro scrigni e li offrirono in dono oro, incenso e mirra. Quindi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, per altra via fecero ritorno al proprio paese”   (Matteo 2,1-12).

Tutto qui. Dalle parole di Matteo non emergono i loro nomi né quanti fossero né il significato dei doni recati. Forse proprio tale enigmatico silenzio spiega perché, dopo duemila anni, il mistero irrisolto dei sapienti evangelici continua ad affascinare. Il fatto è che la scarna testimonianza di Matteo viene abbondantemente rimpinguata dalla vasta letteratura apocrifa sull’Epifania (Protovangelo di Giacomo, Vangelo dell’Infanzia Armeno, Vangelo dello Pseudo Matteo).  E, soprattutto, dalle numerose fonti leggendarie, sviluppatesi da un primitivo modello siriaco-iranico, e proliferate nell’ambito della cultura esoterica (Libro della Caverna dei Tesori, Vita di Adamo, Rivelazione di Adamo al figlio Seth, Cronaca di Zuqnin),  che hanno fatto dei Magi dei grandi iniziati alla scienza ermetica. In occidente, ha avuto grande importanza l’Historia Trium Regum del frate carmelitano tedesco Giovanni da Hildesheim (1310-1375), sorta di sintesi delle tradizioni orientali che ha arricchito di episodi fantastici la loro biografia leggendaria.

La parola Magh, in pelvi e zend, lingue dell’antico Oriente, significa “sacerdote in possesso della sapienza donata”, “dominatore degli alti misteri”.

Secondo Erodoto, i  magoi  erano una società segreta di origine persiana.

Per i greci e i latini la magia era l’arte dei seguaci di Zarathustra[1], capaci di interpretare i movimenti e il significato degli astri  Non a caso, il viaggio dei Magi fu guidato dalla stella[2] (una cometa, una nova o una singolare congiunzione astrale?), da sempre considerata segno di un annuncio eccezionale, manifestazione divina[3]. A dire il vero, i calcoli degli odierni astronomi, collocano l’inizio dell’evento astrale diverso tempo prima della nascita del Cristo: forse un anno o due. Le più diffuse tradizioni orientali affermano che i Magi ebbero l’annuncio dell’avvento del Salvatore sul “Monte Vittoriale[4]. Questo luogo sconosciuto, sacro per la religione mazdaica, era la dimora di dodici sapienti, che interrogavano gli astri in attesa del Messia, nonché il punto ove il profeta Zarathustra scrisse il libro dell’Avesta.  E’ probabile che la patria dei Magi debba individuarsi nella città di Sauva in Iran, indicata da Marco Polo quale sede dei loro sepolcri, non lontana dal tempio del fuoco di Takht – i – Sulaiman,  epicentro della cultura zoroastrica.

Si trattava di sacerdoti o di re, come riportato dalla tradizione cristiana?

L’abbigliamento dei sapienti (mantello e cappello frigio), proprio di alcune caste sacerdotali orientali, conferma che doveva trattarsi di iniziati iraniani, migrati verso Occidente, anche se la ricchezza delle vesti sembrerebbe far propendere per la tesi della loro dignità regia. Va chiarito che la presunta regalità dei Magi è totalmente apocrifa, scaturita dalla sovrapposizione di più elementi simbolici, e non concorda con gli altri attributi, prettamente misteriosofici, dei saggi d’Oriente. Inoltre, l’attesa di un Dio “Figlio del Sole” era tipica dei culti dei sacerdoti iraniano siriaci, celebrati col fuoco, durante il solstizio d’inverno. Nell’antica Roma, come più volte ricordato, il 25 dicembre si considerava il giorno della nascita del sole, festa pagana di origina persiano mithraica, perpetuata da molti rituali eliolatrici. Secondo San Girolamo, nella grotta di Bethlemme, in tempi remoti, si adorava il dio solare Adone-Tamuz.

In questa prospettiva, i Magi dovettero essere un ottimo anello di congiunzione tra il paganesimo e il cristianesimo, tra le religioni piromagiche orientali e la nuova fede nel dio unico.

Altro problema è stabilire quanti fossero i Magi e quali fossero i loro veri nomi. Il Vangelo dell’Infanzia Armeno parla di tre re-fratelli. Nel cristianesimo popolare orientale si allude ad un misterioso quarto mago, che non giunse mai a Bethlemme, in quanto si smarrì lungo il percorso. Qualcuno ha pensato ad una spia di Erode o, addirittura, al più potente del gruppo, rimasto sconosciuto per poter conservare indisturbato segreti tesori. Nello Opus imperfectum in Matthaeum  (IV secolo d.c.) i Magi sono dodici, come gli Apostoli. I nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre appaiono solo dopo il VI – VII secolo. Il Vangelo degli Ebrei e Nazareni li conosce come Melco, Caspare e Fadizzarda. L’apocrifo siriaco Gadla Adam nomina Hor, Basander, Kursundas. Melchiorre è ritenuto il più anziano, Baldassarre il mediano, Gaspare (considerato negroide da alcune tradizioni) il più giovane. I tre saggi rapresentano le tre età dell’uomo e, secondo alcuni[5], i tre stadi della Grande Opera alchemica: nigredo, albedo e rubedo. Una prova di tale significato dei sapienti sarebbe nell’opera di Giorgione denominata “I tre filosofi” e custodita a Vienna.

I doni offerti al Messia hanno un complesso valore simbolico e rispecchiano la triplice natura del Cristo: l’incenso al dio, l’oro al re, la mirra all’uomo-mortale. Invero, i tre doni si prestano pure ad un’interpretazione esoterica: “l’oro degli alchimisti, l’incenso dei sacerdoti egizi, la mirra della taumaturgia mesopotamica e buddista”.

In effetti, l’oro è sinonimo di luce e splendore in tutte le simbologie magico religiose. Il raggiungimento o ritrovamento dello stato aureo equivale all’avvenuta trasformazione dell’uomo in Dio. Era l’obiettivo finale della metallurgia alchemica. L’incenso è da sempre associato alle rituarie divine. La mirra è un elemento simbolico che accomuna i Magi a San Nicola di Myra (che in turco significa mirra). San Nicola è un mirablita (un effusore di manna o mirra, in greco muron).  Le proprietà di questo liquido si sono da sempre considerate taumaturgiche. In antico, i defunti venivano cosparsi di tale unguento prima di essere seppelliti.

Davvero singolare è la versione riportata dai Codici Hereford   e Arundel,  nei quali si asserisce che Erode affidò ai Magi anche un diadema e un anello da portare al Figlio di Dio: entrambi gli oggetti erano sacri per il Pantheon persiano. I corpi dei Magi furono tra le reliquie oggetto della ricerca medievale. Elena di Costantinopoli, madre di Costantino il Grande, ritrovò le spoglie mortali degli antichi sapienti, considerate oggetto di culto e fonte di protezione divina, e le donò alla città di Milano. Federico Barbarossa le rubò, per portarle a Colonia ove tuttora sono venerate in un’arca preziosa. Successivamente, il capoluogo lombardo riuscì a riottenere alcuni frammenti delle reliquie, che tornarono ad essere venerate nel giorno dell’Epifania.

 

[1]  sacerdote di fede ariana, vissuto in Persia tra l’VIII e il IX secolo a.C., riformatore del politeismo ariano e fondatore dello Zoroastrismo, culto sincretico sopravvissuto sino ai primi secoli dell’era cristiana.

[2] Secondo alcune interpretazioni simboliche, la stella a cinque punte, che ritroviamo in cima all’albero di Natale, corrisponderebbe al Pentagramma, che rappresenta l’essere umano realizzato. E’ una manifestazione della scintilla divina (il Sé spirituale), che si può manifestare ed esprimere attraverso  quattro elementi: la parte fisica, vitale, emotiva e mentale del nostro essere.

[3] In alcune interpretazioni contemporanee, di tipo eminentemente giornalistico (v. A. G. Gilbert, Magi, Corbaccio, 1996), la stella,  da essere un simbolo diventa il punto centrale della ricostruzione della storia degli antichi sapienti. In nome di una moda ormai imperante, con una tecnica vivisettoria, si cerca di fondare l’indimostrabile teoria del collegamento alla stella Sirio di tutti i fatti misteriosi dell’antichità.

[4] Il messaggio di vittoria e di giustizia è individuabile anche in San Nicola (Nikòlaos=vittorioso), Santa Lucia (v. ante), e nel Cristo Sole invitto.

[5] v. M. Centini, in Giornale dei Misteri, dicembre 1998. Da questo studioso (v. I Re Magi,  Xenia, 1992 – La vera storia dei Re Magi, Piemme, 1997)  si è tratta una notevole messe di informazioni. Secondo Centini, la storia dei Magi si sarebbe legata a quella di un altro personaggio misterioso, tale Prete Gianni. Quest’ultima figura corrisponderebbe a quella del dio latino Giano (il signore delle porte solstiziali), fortemente implicata nella genesi del mitema dei portatori di doni.

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