Ita in Lufthansa, affare o bidone?

di Canio Trione
Economista
In questi giorni abbiamo avuto la notizia di un accordo definitivo sul destino di Ita, la compagnia aerea italiana che è stata creata al posto di Alitalia.
Sono questi accordi molto complessi e i dettagli non noti e difficilmente comprensibili sono essenziali per avere una idea corretta e completa di quanto è stato fatto; ma per quello che ci è dato sapere l’operazione è poco vantaggiosa per l’Italia.
L’Italia mette più di un miliardo per una società che diviene totalmente altrui in pochi anni, mentre i tedeschi mettono poco più di ottocento milioni che per la gran parte rimangono dentro la loro società cioè rimangono a loro… che razza di affare è? Cioè li paghiamo per prendersi la nostra società? Vogliamo credere che qualcosa non l’abbiamo capita. Per fare questo si assegnano a tre italiani il posto nel cda? Per avere l’assenso italiano si danno posti in cda forse lautamente retribuiti? Anche qui qualcosa non capiamo. Si assumono nuovi dipendenti e si acquistano altri aerei con i nostri soldi mentre quelli dei tedeschi rimangono nella loro società con un aumento di capitale? Ammesso che questo si faccia, lo scenario verso il quale si va è: loro padroni e noi faremo gli operai della loro società?
La salvaguardia del livello occupazionale è l’unico obiettivo? Il marchio Alitalia è di proprietà di Ita che lo ha pagato profumatamente; diviene tedesco? Senza pagarlo?
E si può continuare molto a lungo con queste domande ma sopra tutto c’è sempre la stessa considerazione: come mai le nostre società in mano agli italiani producono perdite mentre in mano agli stranieri fioriscono? Colpa del fisco o dei sindacati? Non è meglio porre mano a questi problemi anziché regalare le cose cui più teniamo? Ma v’è di peggio: l’ulteriore aumento della dimensione di questa compagnia come di ogni altra compagnia è un problema politico in se! Infatti le società quando divengono molto grandi condizionano pesantemente le Istituzioni. Una società così grande fa quello che vuole ed impone alle Istituzioni quello che crede come sembra stia accadendo fin da questo accordo.
Quando le grandi società italiane erano dell’Iri producevano perdite mentre altre producevano utili ma la politica poteva condizionarle. Adesso producono perdite che vengono esplicitamente o velatamente scaricate su consumatori e contribuenti mentre gli utili sono rigidamente privati.
Se ne sono accorti i nostri politici?
Tutte le grandi “vendite” italiane effettuate hanno impoverito l’Italia e arricchito privati stranieri.
A che gioco stiamo giocando? Che fine hanno fatto i proventi pur modesti delle “privatizzazioni”? Non è ridotto il debito, non è sceso il deficit…serviva privatizzare? O sono stati gli acquirenti a spingere per realizzarle?
 Ormai abbiamo capito che “grande è male” sempre e comunque e quindi serve elaborare una strategia che permetta alle società così grandi di assolvere lo stesso il loro compito senza pervenire dimensioni tali da poter azionare leve politiche destabilizzando bilanci pubblici e Istituzioni.
Torneremo all’IRI?
PICS CREDIT: Il gran rifiuto, Enzo Varricchio e Pino Verrastro, 2020 (diritti riservati)

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