di Canio Trione

economista, console onorario della Repubblica di Lettonia

Quest’anno si dovrebbe ricordare la vittoria di Vittorio Veneto. A Parigi per la stessa ricorrenza sono stati presenti i più potenti del mondo mentre in Italia ci siamo sentiti un discorso che diceva che le classi dirigenti dell’epoca hanno sbagliato ad imbarcarsi in quella guerra e avrebbero dovuto fare come fanno le attuali eurocrazie. Quindi a sentir loro i caduti e i feriti hanno sbagliato ad obbedire? Oltre ad averci rimesso la pelle si sentono dare dell’imbecille? Non lo sappiamo, né sappiamo se questo tipo di discorsi vogliono invitare a stare attenti a non seguire quello che i governanti decidono visto che prendono delle cantonate di questa portata.

Sappiamo però che nel 1918 gli unici che sul campo hanno vinto sono stati gli italiani; solo loro hanno sbaragliato l’avversario austriaco e teutonico costringendolo alla resa anche sul Reno. Ma chi è stato determinante nella vittoria? Il Capo del governo era certo Vittorio Emanuele Orlando, un siciliano che aveva sostituito un genovese il 30 ottobre 1917 in piena ritirata da Caporetto; il Comandante supremo dell’esercito italiano era certo Armando Diaz napoletano che era succeduto al gen. Cadorna (piemontese molto vicino alla corte) il quale ultimo aveva comandato l’esercito italiano per tutta la guerra senza aver riportato nulla di decisivo se non la sconfitta di Caporetto pur avendo instaurato un regime dittatoriale e terroristico con tanto di fucilazioni pubbliche dei nostri stessi militi. Gen. Cadorna che nel bollettino della sconfitta non aveva mancato di infangare il sacrificio dei nostri ragazzi attribuendo ad un atto di codardia collettiva la disfatta subita(!) e non come fu poi accertato all’incompetenza dei capi. Piemontesi erano anche Badoglio e Cavaciocchi che materialmente lasciarono passare il nemico pur essendo in diversa maniera in grado di contrastarne o almeno ritardarne il passaggio. Dall’altra parte non stavano solo gli austriaci ma anche le divisioni scelte tedesche inviate proprio per assestare un colpo decisivo al fronte italiano ritenuto più vulnerabile.

Il 22 dicembre 1917 mentre era in corso un nuovo micidiale attacco contro la linea del Piave che ancora non era pienamente perfezionata, il Presidente del Consiglio Orlando pronunciò il famoso discorso (più volte indegnamente evocato da figuri in cerca di notorietà) che concludeva con le parole: “resistere, resistere, resistere”.

Il Gen. Diaz dal canto suo rivoluzionava completamente la conduzione dell’esercito azzerando la politica del terrore ed inaugurando quella dell’impegno comune verso l’unico obiettivo; migliorando le condizioni di vita; rivisitando profondamente corpi scelti come gli arditi; potenziando l’armamento; creando cioè un esercito moderno.

Ma un altro meridionale si rende protagonista di quei giorni. Il 10 febbraio del 1918 tre piccoli mezzi navali -sui quali si trovava tra gli altri Gabriele d’Annunzio- entrarono nella super protetta baia di Biccari per lanciare alcuni siluri e tre bottiglie con un messaggio del poeta pescarese. L’eco presso le truppe italiane fu enorme; ma anche l’autostima degli austriaci ne uscì ridimensionata.

Poi, il nove di agosto del 1918, spianava la via della vittoria finale un’altra eroica impresa; era sempre Gabriele d’Annunzio che con altri sei velivoli sorvolava Vienna non per bombardare donne e bambini ma per lanciare volantini propagandistici che costrinsero anche la stampa locale alla più profonda ammirazione ben rappresentata dalla domanda di un giornale che chiedeva; “dove sono i nostri d’Annunzio?”

All’indomani della battaglia del giugno 1918 detta del solstizio un napoletano scrisse la canzone del Piave che fu decisiva per rianimare lo spirito dei ragazzi nelle trincee inducendo il comandante supremo a ringraziare l’autore -con un telegramma- del decisivo contributo alla vittoria finale.

Ma se la vittoria fu in gran parte dovuta all’ardimento e al genio meridionale, la sua importanza epocale risiede nell’aver fermato l’espansione verso sud del sistema e della cultura teutonica che già aveva occupato immensi spazi in tutta Europa. Né il fronte del Reno avrebbe mai retto senza l’eroismo dei nostri ragazzi.

Oggi di quelle gesta non si ricorda più nessuno. Del senso epocale di quegli avvenimenti non ne parla nessuno; anzi, sembra che la parola d’ordine sia dimenticare ed evitare che permanga e rinasca una identità troppo ingombrante nel processo di uniformizzazione mondiale dei comportamenti e delle coscienze. Il sud che formalmente, idealmente e sostanzialmente ha guidato quelle gesta è ormai un orpello fastidioso proprio perchè può in qualunque momento far pendere l’ago del consenso da una parte anzichè dall’altra.

Nessuno ha mai capito nulla del Sud e di quello che difende da secoli contro ogni forma di omogeneizzazione;

nessuno ha correttamente interpretato quella sua originalità tradizionalista che si vuole limitare al folclore per turisti per un giorno;

nessuno comprende quei suoi sistemi economici che eroicamente sopravvivono nonostante fisco, burocrazia, banche, concorrenza sleale,.. nessuno spiega come mai in un mondo di televisione e internet il sud riesca a conservare una identità così speciale che esce addirittura rafforzata dai tentativi di uniformizzazione planetaria.

nessuno, ancora, sa della vera forza della sua cultura e della sua bellezza in permanente rinascita nonostante le incursioni di masse di disperati e di influenze tecnologiche omologatrici;

nessuno capisce come il Sud conservi una sua identità nonostante la sua classe dirigente che è per la gran parte autoreferente, ignorante, inetta, esosa e venduta;

Esiste una specie di linea del Piave inespugnabile nonostante le perdite e le emorragie di menti e braccia; … ma per noi i miracoli come quelli di Vittorio Veneto sono esperienza quotidiana… da secoli.

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