Il Sufi alla finestra, Mario Verrastro, https://mariover.weebly.com/portfolio.html

 

di Enzo Varricchio

Nella generosità e nell’aiuto degli altri sii come un fiume.
Nella compassione e nella grazia sii come il sole.
Nel nascondere le mancanze altrui sii come la notte.
Nell’ira e nella furia sii come la morte.
Nella modestia e nell’umiltà sii come la terra.
Nella tolleranza sii come il mare.
Esisti come sei oppure sii come appari.
(RUMI)

 

“Direi che ho abbracciato il Sufismo per una questione di vicinanza, per quella sorta di illuminazione che ti pervade quando ti accorgi di aver trovato proprio quello che andavi cercando. In altre parole, io sono legato al sufismo perché ho scoperto che il mio mondo interiore è assolutamente uguale a quello dei mistici sufi, in particolare per quel che riguarda la concezione della sofferenza”.
Con queste parole il grande cantautore siciliano Franco Battiato spiegava il suo incontro con il sufismo (in https://www.mybestlife.com/ita_anima/Battiato_intervista.htm), alludendo probabilmente al rimedio contro la sofferenza consistente nel distacco dalle cose mondane praticato dai mistici Sufi.
Credo che Voglio vederti danzare, la sua famosa canzone del 1982, abbia acceso un riflettore italiano sui Dervisches Tourners, spingendo i suoi fan ad approfondire l’argomento e a rimanerne affascinati.

Il derviscio (in persiano e arabo darwīsh, lett. «povero», «monaco mendicante») più famoso della storia è Rumi, al secolo Jalāl ad-Dīn Muḥammad Balkhī, nato a Balkh nell’attuale Afghanistan nel 1207 e morto nel 1273 a Konya in Turchia, ove si trova la sua tomba, teologo musulmano sunnita e fondatore della confraternita sufi dei “dervisci rotanti“, considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana.

 

moschea di Konya (Turchia), tomba di Mevlana Rumi

Digitando su Google il nome “Rumi” appaiono 55.800.000 risultati.
In realtà, il sufismo non è solo dervisci e i dervisci non sono solo sufi.
Il nome “Sufi” deriva dalla candida lana (in arabo sùf) degli abiti degli iniziati a questa antica filosofia, ovvero dal vocabolo greco sophos, sapiente, ma ci sono altre ipotesi.
Personalmente, credo che Sufi significhi “puro” e l’etimo giusto sia dalla parola araba safâ’ – “purezza”, perché mi ricorda analoghe sette cristiane come i Catari (dal gr. καϑαρός «puro») o ebraiche come gli Esseni, che vestivano di lino il cui bianco tessuto richiamava l’anima immacolata che è poi l’obiettivo che le accomuna al sufismo: purificarsi per ricongiungere il corpo all’anima e avvicinarsi a Dio.
Infatti, esiste una Via (tarîq) sufista per giungere alla “Prossimità del Principio divino”, e per ottenere questo scopo il “viandante” (sâlik) si sbarazza progressivamente di “tutto ciò che è altro che Dio” (kullu mâ siwâ ‘Llâh).
È questa la “purezza” interiore del sufi, che Junayd al-Baghdâdî (†910) definirà come “colui che Dio fa morire a se stesso e vivere in Lui”, non diversa da quello dello Yogi che aspira a riunirsi al Puruṣa (spirito) o del Bodhisattva (risvegliato) buddista, che seguono entrambi scrupolosamente l’ottuplice sentiero costituito da: fede pura, propositi puri, linguaggio puro, azione pura, vita pura, sforzo puro, memoria pura, concentrazione pura.

Il fenomeno dell’ascetismo è invero tipico di tutti i percorsi ascetici mistici, sia ebraici, che cristiani, buddisti e induisti.
Anche in Italia ci furono i Pitagorici che predicavano l’astinenza dalle contaminazioni con la carne e con la vile materia, e sul monte Athos ci sono ancora gli Esicasti cristiano-ortodossi che praticano l’onfaloscopia (recitazione di mantra concentrandosi sul proprio ombelico e trattenendo il respiro) e considerano il corpo la cella del divino che è in noi, lavorando per purificarlo e indurlo a superare i suoi limiti, ad aprire quella cella.
Per certi aspetti la stessa origine del nome Sufismo può cominciare a spiegare i motivi del grande successo in Occidente di una tradizione ermetica che probabilmente scaturì dal multiforme e misteriosissimo alveo della Gnosi.

In estrema sintesi, il Sufismo è dualista: da una parte il corpo, dall’altra l’anima. Però, non si disinteressa del corpo materiale cercando di purificarlo, tenerlo in esercizio e liberarlo dai bisogni per aprirlo allo spirito.
A dispetto della complessità di tale dottrina, in Italia sono molti gli appassionati di sufismo e non credo che tale fascinazione sia dovuta solo a Battiato e agli spettacoli dei dervisci rotanti frequentemente propinati ai turisti in viaggio in Medio Oriente e soprattutto in Turchia.
La nostra esistenza di occidentali è consacrata alla materia e alla soddisfazione di bisogni materiali, il corpo e la sua immagine sono la cosa più importante.

Odiamo invecchiare, temiamo il dolore e abbiamo il terrore della morte.

Ciò perché siamo deprivati di spiritualità e razionalmente portati a credere che il corpo e questa vita terrena siano le uniche cose che contano. Nel frattempo, per star dietro ai nostri costosi bisogni materiali, lavoriamo tutta la vita come schiavi privandoci del tempo per godercela.
Il sufismo, come lo Yoga e lo Zen, ci seduce con un’alternativa. Praticare la cura del corpo ma in un modo spirituale, educarsi al non attaccamento, alla gioia per ogni evento, ci dovrebbe consentire di supplire alla totale mancanza di qualunque fede e scopo che non sia nel ciclo lavoro – danaro – oggetti, a sopportare la perdita della religiosità nel nostro Occidente, e a combattere l’angoscia del dolore e della morte.
«Tutto sulla terra è nulla», dice il Corano. E allora il sufi è «nel mondo, ma non del mondo». Vive una vita comune, soffre, lavora, paga le tasse, ha il passaporto e soprattutto viaggia moltissimo: con il corpo e con la mente, nei secoli e nei libri, nelle opere d’arte di chi ci ha preceduto. Tuttavia non è conquistato dalle vanità mondane, non è stato preso al laccio da sistemi di governo, o politici, o finanziari, o consumistici, non è limitato da concetti di patria o da confini, da colori della pelle o diatribe etniche. «Tutto si risolve in un continuo di energia, tutto è una nebbia, qua e là più densa o meno densa. E noi siamo energia, nebbia, come qualsiasi cosa di questo mondo terreno, ma possediamo un’anima divina, goccia di quell’oceano senza fine che è Dio, e il nostro fine ultimo è Dio», scrive Mandel nel suo libro “La via al Sufismo. Nella spiritualità e nella pratica” (2004).

Solo che, come al solito, troppo spesso noi restiamo in superficie, sicché finiamo talora per condurre una doppia vita, di giorno postino, la notte derviscio. E la proclamata attrazione per il sufismo dei nostri intellettuali e benpensanti inizia e finisce con qualche poesia di Rumi e una vecchia canzone di Battiato.
Insomma, anche il nostro sufismo è una via di fuga ma preferiamo evadere di tanto in tanto per poi tornare nella nostra cella, tenerci al riparo nella caverna platonica: il consumismo e il materialismo, piuttosto che rischiare una vera liberazione.
E’ il nostro Italian Sufism.

 

Bibliografia minima:
Martin van Bruinessen e Julia Day Howell (a cura di), Sufism and the “Modern” in Islam, I.B. Tauris, New York 2007.
Giuseppe Scattolin, Esperienze mistiche nell’Islam. I primi tre secoli, EMI, Bologna 1994.
Giuseppe Scattolin, Esperienze mistiche nell’Islam. Secoli X e XI, EMI, Bologna 1996.
Giuseppe Scattolin, Esperienze mistiche nell’Islam. Al-Niffarī e al-Gazālī, EMI, Bologna 2000.
Souad al-Hakim, Il soft power dei sufi, «Oasis» 25 (2017), in uscita a giugno.
Kalābādī, Il sufismo nelle parole degli antichi, (trad. a cura di Paolo Urizzi), Officina di studi medievali, Palermo 2002.

Il sufismo in Italia. Innamorati figli di Allah (Alessandra Garusi) in

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticaislamica/sufismoitalia.htm

 

Enzo Varricchio alla moschea di Konya, tomba mausoleo di Mevlana Rumi

 

Tutto sulla terra è nulla

Corano

1 thought on “Italian Sufi

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