La Francia sembra abbia offerto ai contadini in protesta qualche miliardo di euro per piena soddisfazione delle loro richieste. È possibile che vengano accettati ma la base dei protestanti non è felice di questa soluzione; la protesta continua. Sembra che anche in Italia si voglia andare verso una “soluzione” simile naturalmente a tutto danno del contribuente. Si formerebbe così uno scenario preciso nel quale il produttore agricolo dipende sempre di più dalla politica, gli acquirenti commercianti ed industriali continuano a beneficiare di prezzi da fame, mentre i consumatori rimangono in balìa del grande commerciante/trasformatore; inoltre il consumatore viene chiamato a pagare un ulteriore somma in tasse a favore dei produttori. Una soluzione che peggiore non può essere. Ma è la più probabile.
Ma cosa possono volere i contadini che protestano? Oltre ai soldi?
La protesta ha fatto emergere tantissime cose; vediamo di indicarne qualcuna:
-la protesta si è resa necessaria per mancanza di rappresentatività politica della agricoltura. Le varie organizzazioni datoriali (e ancor peggio i parlamentari) non sono riuscite a dare voce agli interessi degli associati fino a costringere i coltivatori a far da se.
-I prezzi spuntati dai produttori sono imposti per la gran parte dalla GDO che riesce ad imporre elevati prezzi per i consumatori -con relative riduzioni delle quantità acquistate da questi ultimi- e bassi prezzi per i produttori che però non possono agevolmente ridurre le quantità offerte producendo “naturalmente” crollo dei prezzi…devono subire le determinazioni dei buyer della GDO. E basta.
-i costi di produzione delle imprese agricole sono dipesi dalle imposizioni di grandi imprese chimiche, energetiche, meccaniche… oltre a quelli dipesi dallo stato e dalla manodopera; quindi sono estremamente rigidi.
-le produzioni agricole subiscono gli effetti delle immense produzioni idroponiche e in genere quelle ad alto contenuto tecnologico come gli OGM o le colture altamente intensive; produzioni che arrivano allo scaffale indistinte e quindi l’una vale l’altra spingendo in basso i prezzi.
-l’agricoltura sarebbe una percentuale del 2% dell’economia complessiva e quindi come fu per i mutui prime rate è ritenuta troppo piccola per essere un pericolo né in grado di spostare gli equilibri in modo significativo.
-la politica agricola è troppo presente in ogni segmento delle imprese agricole che non solo ne sono asfissiati ma dipendono in maniera crescente dai sussidi per sopravvivere ed è cosa che non è più accettata.
-gli agricoltori hanno un consenso enorme probabilmente perché l’agricoltura incarna una parte sensibile della nostra identità.
Da tutto ciò discende che accettare altri sussidi confermerebbe la attuale situazione rimandando nel tempo la soluzione di sistema. A chi gioverebbe? Non certo ai protestatari né, tanto meno ai governi che lascerebbero ai futuri governi il problema tale e quale senza convincere il mondo agricolo. Quindi se è vero che i produttori lavorano in regime di concorrenza tra di loro, per i compratori invece il regime è di oligopolio che conferisce loro un potere smisurato, più politico che economico. I commercianti-industriali sono anche aiutati dalla propria forza finanziaria e dalla deperibilità delle derrate agricole che impone di vendere quale che sia il prezzo. Riequilibrare le forze tra acquirenti e venditori sarebbe un dovere essenziale della politica e quindi delle istituzioni che però non si sognano minimamente di mettere sul piatto questa opzione. Perché? Perché il prezzo basso della materia prima agricola è una condizione minima necessaria per la formazione del profitto sia per l’industria agroalimentare, sia per i distributori. Come se ne esce?
La eccessiva dimensione delle società acquirenti accresce la loro forza sul mercato ma anche verso le Istituzioni che non sanno resistere alle lusinghe delle lobby. Sono “troppo grandi per esistere”. Quindi condizione minima dovrebbe essere garantire la concorrenza più libera possibile tra distributori/trasformatori al fine di indurli a offrire ai produttori il massimo prezzo possibile. Si tratta di una condizione minima di sistema che le multinazionali vedono come fumo negli occhi. Una Istituzione che sappia e voglia fare il proprio mestiere vieterebbe senza indugi la operatività a società che abbiano una dimensione eccessiva: un commerciante con più di cinquecento dipendenti è un mostro che travolge tutto e tutti … istituzioni incluse; ai produttori paga quello che vuole quando vuole, ai consumatori chiede il prezzo che vuole, alle istituzioni chiede ed ottiene l’apertura di nuovi punti vendita dove vuole distruggendo il commercio di vicinato; inoltre chiede ed ottiene norme sulla distribuzione e sulle etichette, sull’idroponico, sugli ogm, sugli insetti, che servono alla ottimizzazione dei propri profitti quale che sia l’impatto sulla popolazione e sulla economia. Quindi la metastasi economico-politica sta nella eccessiva dimensione delle imprese di trasformazione e distribuzione. Prima o poi la dimensione delle imprese dovrà essere limitata anche per le diseconomie interne che produce che vengono riversate sui consumatori e sugli stake-holder in genere. L’unica alternativa possibile è avere tassazioni diverse per imprese diverse; cioè le piccole imprese per essere portate allo stesso livello (almeno sul piano dei costi amministrativi) delle grandi e quindi devono avere un regime fiscale differente -che non necessariamente debba produrre riduzione di gettito- ma certamente deve essere estremamente semplificato sul modello del concordato preventivo e della forfetizzazione oggi all’attenzione del Parlamento italiano. Semplificazione che dovrebbe coinvolgere ogni aspetto della burocrazia statale.
I protestatari proporranno qualcosa del genere? I politici capiranno una cosa così sottile?
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