di Tommaso Adriano Galiani

Chiederci cosa sia cambiato nel luogo che ci ha visto crescere è come pretendere di capire come si siano trasformati i nostri sguardi su un reale mutevole, quello stesso che da bambini si rincorre, da adulti ci incalza, da anziani in un certo senso ci sfugge.

Non sono mai stato un nostalgico, questo va detto. Non sono quindi propenso a dire “prima si stava meglio”, semplicemente perché “prima” ero altro da quello che sono oggi. Da bambino mi bastava un gelato, da adolescente uno spiazzo in cui camminare con gli amici, da studente una pizzeria dove poter spendere poco. Ora di locali in cui poter mangiare ce ne sono tanti, tantissimi in Puglia. La regione ha indubbiamente vissuto un percorso di crescita che l’ha resa a tratti quasi irriconoscibile in pochi decenni, come una donna attempata che si sottopone a continui ritocchi estetici, mantenendo a fatica la sua iniziale fisionomia. Dove c’erano vecchie signore che cianciavano sul passeggio serale, ora ci sono insegne commerciali e di Bed & breakfast. Al posto delle mercerie abbiamo gioiellerie e boutique. In sostituzione dei camion da lavoro agricolo spesso troviamo le auto elettriche disposte nelle strisce blu dei parcheggi a pagamento. I panni stesi e rattoppati sono stati sostituiti da biciclette “provenzali” e da apoteosi di gerani davanti ai quali c’è qualche escursionista che s’illude di tornare indietro nel tempo, in una realtà che però non è mai esistita.

Quasi tutto è divenuto “affare”, business, ma c’è davvero più ricchezza in generale? Non mi riferisco solo a quella economica, ma anche a quella identitaria oltre che classicamente culturale. Certo, ormai in tanti raccontano, magari con accento perfettamente britannico, la fandonia imparata a memoria su qualche sito internet, pensata per renderci adeguatamente folk. Una volta mi fu detto che solo chi conosce l’inglese può gestire il mondo. Io risposi che forse era vero, ma che qualcosa di sensato da tradurre nel cervello doveva pur esserci. Bene, non solo non ho cambiato idea, ma ho anche constatato come la turistificazione abbia modificato non tanto le capacità linguistiche, ma più che altro il pensiero comune. Fino a non molto tempo fa ero convinto che almeno le feste patronali fossero rimaste vere, almeno finché non ho visto un portatore mettersi in posa per un turista armato di cellulare.

Cosa siamo diventati? Qualcuno se lo chiede davvero?

Proviamo a farlo passeggiando in paesi disertati dai cittadini, se non in occasione di grandi eventi, avvenimenti attesi perché riempiranno stanze, hotel e ristoranti. Ma non è preoccupante sentirselo dire in assenza di artigiani o di agricoltori che per secoli hanno costituito il nucleo vitale della locale economia?

Tutto cambia, lo capisco, cosa che potrebbe accadere anche ai flussi escursionistici. Se malauguratamente dovesse accadere? Cosa resterebbe della Puglia?

Non sono un nostalgico – lo ribadisco e non per paura d’essere smentito – ma prima di diventare solo ed esclusivamente uno stuolo di comparse di una scenografia instagrammabile, un popolo unicamente di addetti all’industria turistica, un cospicuo numero di cittadini che pagano anche per poter parcheggiare sotto casa o per poter entrare nelle chiese costruite dai loro antenati, è forse arrivato il momento di fermarsi, di riflettere e di capire quanto vogliamo restare una comunità reale, viva, rappresentativa di sé e della propria storia.

Fino a non moltissimi anni fa ascoltavo litigi e dibattiti ideologici, politici nel senso più nobile del termine. Non parlo di esponenti amministrativi, ma di gente comune che discuteva per strada, nelle sedi partitiche, nei vecchi bar. Era gente interessata a costruire un futuro per i propri figli, quei figli che ormai vengono mandati altrove a studiare o cercare un futuro migliore, pur vivendo in un luogo considerato degno di essere annoverato tra i più belli. Se tutto andasse tanto bene – così come dicono in molti – se davvero siamo la “locomotiva” del sud, se l’economia cresce, se possiamo pagare in certi lidi somme stratosferiche per un ombrellone e due lettini, che senso avrebbe questo stillicidio generazionale?

A questo punto, davanti all’evidenza, piuttosto che domandarci cosa siamo diventati, forse sarebbe meglio chiederci cosa vogliamo diventare.

Sempre che non sia già tardi.

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