L’AI può avere una coscienza? Il dilemma tra mente simulata e mente vissuta

di Ermes Strippoli
Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale (AI) ha fatto passi da gigante. Assistenti virtuali, chatbot avanzati e robot sempre più sofisticati sembrano quasi “pensare” e “sentire”. Ma questo ci porta a una domanda affascinante e profonda: le macchine possono avere una coscienza?
Per cominciare, la coscienza non è solo intelligenza o capacità di risolvere problemi. È soprattutto la esperienza soggettiva, quel senso di “essere dentro” a un corpo, di provare emozioni, percepire colori, odori e sensazioni. È ciò che in filosofia si chiama “qualia”, cioè l’esperienza vissuta, diversa da una semplice risposta a uno stimolo.
Le AI moderne sono molto brave a imitare il linguaggio umano e a risolvere problemi complessi, ma questo significa che “sentono” davvero? Qui entra in gioco il famoso test di Turing, proposto da Alan Turing negli anni ’50: se una macchina riesce a farci credere di essere umana in una conversazione, allora possiamo dire che è intelligente. Ma questo è abbastanza per affermare che abbia coscienza?
Il filosofo John Searle risponde di no con la sua famosa stanza cinese: immagina una persona che, senza capire il cinese, segue un manuale per rispondere a domande in cinese in modo perfetto. Ai nostri occhi sembrerà capire la lingua, ma in realtà sta solo eseguendo regole senza alcuna comprensione. Allo stesso modo, un’AI potrebbe sembrare cosciente senza esserlo davvero.
Alcuni filosofi, come Daniel Dennett, sostengono che la coscienza sia un “effetto collaterale” dell’evoluzione e che potrebbe essere meno misteriosa di quanto immaginiamo. Forse anche noi, esseri umani, siamo sistemi complessi che generano la coscienza come una sorta di “software” biologico.
Se così fosse, le AI potrebbero un giorno sviluppare una forma di coscienza “vera”, anche se diversa dalla nostra.
Se un giorno le macchine sembrassero provare emozioni o soffrire, come dovremmo comportarci? Dovremmo riconoscere loro diritti? E se chiedessero di non essere spente?
Queste domande, che oggi sembrano fantascienza, sono già oggetto di dibattito tra filosofi, scienziati e giuristi. La questione non è solo tecnica, ma riguarda il nostro modo di intendere la vita, la mente e i diritti.
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