AI e adolescenti: compagna di crescita o pericolo silenzioso?

di Ermes Strippoli
Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è entrata nella vita dei ragazzi in modo silenzioso ma profondo. Non è più qualcosa che si vede solo nei film o si immagina nel futuro: oggi l’AI è nei telefoni, nei computer, nelle app per studiare, nei videogiochi, persino nelle canzoni che ascoltiamo su Spotify. E per molti adolescenti, parlare con un assistente virtuale o chiedere aiuto a un chatbot è diventata una cosa normale.
La cosa interessante è che questa tecnologia può davvero aiutare. Ci sono ragazzi che la usano per fare ricerche più veloci, per scrivere meglio, per trovare ispirazione quando sono bloccati o semplicemente per “chiacchierare” quando si sentono soli. Alcuni dicono che parlare con l’AI è rilassante, perché non ti giudica, ti ascolta e ti risponde sempre.
Ma proprio qui iniziano i dubbi. Se una macchina risponde sempre, dice sempre qualcosa di logico, non si arrabbia e non fa domande scomode… non rischia di diventare una specie di “sostituto” delle persone vere? Alcuni adolescenti iniziano a preferire il confronto con l’AI rispetto a quello con gli amici o con gli adulti. E questo può diventare un problema.
C’è poi un altro punto delicato: l’immagine di sé. Usare l’AI per modificare le foto, creare avatar perfetti o imitare influencer può far crescere l’insicurezza. Senza nemmeno accorgersene, si rischia di vivere in un mondo fatto di modelli irraggiungibili e aspettative troppo alte.
Allora l’AI è un pericolo? Non necessariamente. Può essere anche una risorsa bellissima, se si impara a usarla con intelligenza. Come un buon libro o uno strumento musicale, anche l’AI può stimolare la mente, aprire nuove strade e aiutare a crescere. Ma bisogna imparare a fare domande, ad avere dubbi, a non prendere tutto come verità assoluta.
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