AI e giustizia: può un algoritmo decidere chi è colpevole?

di Ermes Strippoli

Negli Stati Uniti, in alcune aule di tribunale, non è solo il giudice a decidere: anche l’intelligenza artificiale ha voce in capitolo. E non si parla di fantascienza. Sistemi come COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions) vengono usati per valutare il rischio di recidiva dei detenuti. In pratica, prevedono se una persona arresterà ancora. Ma può davvero un algoritmo capire la complessità di una vita?

Non si tratta di sentenze automatiche, ma di suggerimenti influenti. L’algoritmo analizza dati come età, precedenti, residenza e status economico. Il problema? Non spiega mai come arriva alle sue conclusioni. E spesso, dietro quei numeri, si nascondono pregiudizi impliciti.

Nel 2016, Eric Loomis viene condannato in parte sulla base di un punteggio COMPAS alto. Nessuno, nemmeno il suo avvocato, può accedere al codice del sistema. Il caso finisce alla Corte Suprema del Wisconsin: l’algoritmo resta un “segreto commerciale”. Ma come si può difendersi da un’accusa che non si comprende?

Molti studi dimostrano che questi strumenti tendono a penalizzare le minoranze, perché si basano su dati storici che già riflettono disuguaglianze sistemiche. Se nel passato certi gruppi sono stati arrestati più spesso, l’AI lo interpreterà come “rischio”. È giustizia o replica dei vecchi errori?

In Italia, per ora, l’intelligenza artificiale in ambito giudiziario è ancora limitata, ma si sperimenta per l’organizzazione dei fascicoli, la ricerca giurisprudenziale e l’analisi del rischio. Tuttavia, l’Europa ha già messo dei paletti chiari: l’uso di AI per prendere decisioni giudiziarie autonome è classificato ad “alto rischio” nel nuovo AI Act.

L’intelligenza artificiale non va demonizzata, ma contestualizzata. Può aiutare a velocizzare il lavoro, individuare incongruenze, semplificare l’accesso alle informazioni. Ma la responsabilità deve restare umana. Perché una sentenza non è solo un calcolo: è un atto che pesa sulla vita di una persona.

 


FOTO: di Freepik

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