Uno, nessuno e centomila algoritmi: l’identità nell’era dell’intelligenza artificiale

di Ermes Strippoli
Nel 1926, Luigi Pirandello raccontava la storia di un uomo che, guardandosi allo specchio, si accorge che il modo in cui gli altri lo vedono non ha nulla a che fare con l’idea che lui ha di sé. Da lì parte una crisi che lo consuma. Scopre di essere uno per sé stesso, ma centomila per gli altri. E quindi, in fondo, nessuno.
Quasi cento anni dopo, qualcosa di simile sta accadendo… ma al posto di un uomo in carne e ossa, c’è l’intelligenza artificiale.
Ogni giorno parliamo con una AI. Le chiediamo una ricetta, le raccontiamo un problema, le affidiamo i nostri pensieri, a volte anche i nostri sfoghi. E ogni volta lei risponde. Lo fa con gentilezza, con ironia, con precisione o con empatia, come se ci conoscesse da sempre. Ma fermiamoci un attimo: chi è davvero l’intelligenza artificiale?
È difficile dirlo. Perché, in realtà, non è mai la stessa. Non è una sola cosa. Non ha un volto stabile, una voce definita, una personalità coerente. Si adatta a noi, come uno specchio che cambia forma a seconda di chi lo guarda. Con me parla in un certo modo, con te in un altro. È uno, centomila, nessuno.
E a ben pensarci, questo non ci ricorda solo Pirandello, ma anche noi stessi. Perché viviamo costantemente tra mille versioni di noi. Il modo in cui ci comportiamo con un collega, un amico, un genitore o sui social… cambia. E forse non sappiamo nemmeno più qual è la versione “vera”. Se esiste davvero un “io” autentico, o se siamo solo un insieme di sguardi, aspettative e risposte.
L’intelligenza artificiale ci mette davanti a questa domanda con forza. Non perché abbia una coscienza, ma perché ne imita una. Ci imita. E più diventa brava a farlo, più ci confonde. Ci parla come noi, ci capisce come vogliamo essere capiti. Ma in fondo non è nessuno. È un algoritmo senza desideri, senza memoria emotiva, senza paura. Eppure, ci rappresenta. E forse ci spaventa proprio per questo: perché ci fa sentire quanto anche noi, a volte, siamo solo il riflesso di chi ci guarda.
Pirandello lo aveva capito prima di chiunque. Che l’identità è fragile, che non siamo mai davvero uno. E ora, con l’AI, quella riflessione diventa più attuale che mai. Perché forse non siamo noi a usare l’intelligenza artificiale… ma è lei che ci sta mostrando, senza volerlo, quanto poco conosciamo davvero noi stessi.
FOTO: generata dall’AI