Le criticità del mondo del lavoro e i relativi problemi sociali sono sempre stati al centro del dibattito economico e politico italiano anche se spesso strumentalizzato. Siamo perennemente nella più stringente attualità e cronaca.
Ormai tanti anni fa la Confapi Puglia di allora (che era costituita da molti degli stessi soci della Confimi Bari-Bat-Taranto di oggi) partecipò tramite un’impresa associata ad un bando europeo mirato a ottenere valutazioni e proposte sul mercato del lavoro.
Era ministro del lavoro il leghista Maroni che stava preparando un libro bianco sulla futura legislazione lavoristica.
Il sottoscritto elaborò il report finale che prevedeva la creazione ed introduzione di un contratto di lavoro “aziendale” che sarebbe stato prevalente su quello nazionale. Ovviamente il focus era la piccola impresa.
Poche ore dopo la definitiva stesura del report Confapi il Ministero del lavoro pubblicava la sua proposta perfettamente sovrapponibile alla nostra ove al posto del contratto che noi avevamo chiamato “aziendale” si introduceva il contratto “individuale” che alla stessa maniera del nostro prevaleva su quello nazionale. Dizione poi sostituita da “co.co.pro” per via delle gravi reazioni succedute.
Il co.co.pro ebbe un successo cosi travolgente da indurre i sindacati a chiederne ed ottenerne l’abolizione proprio perché di eccessivo successo e, come si sa , il sindacato fa di tutto per aumentare i disoccupati pur di offrire privilegi agli occupati… Fu anche introdotto il principio ampiamente incostituzionale per il quale ogni contratto non previsto esplicitamente dalla legge non può essere utilizzato.
Come mai quel contratto è stato pensato da noi e dal Ministero separatamente ma contemporaneamente? Perché serviva uno spazio di libertà per gli esclusi dal mondo del lavoro e cioè uno spazio non burocratizzato per dare un lavoro a chi non è avvezzo a regole e burocrazia. Una cosa oggi attualissima. La crescita delle specializzazioni lavoristiche e della interconnessione planetaria (e quindi l’arrivo di nuovi lavoratori da ogni parte del mondo) rendeva necessario creare uno spazio “libero” ove chiunque potesse essere assunto. LIBERAMENTE. Perché è stato soppresso? Proprio perché era libero e quindi sottraeva ai potenti il necessario controllo.
Oggi, senza co.co.pro o contratti aziendali o individuali, gli esclusi dal mondo del lavoro crescono e popolano le periferie a cercare di inventarsi il piatto quotidiano.
Questi sono reietti: costretti al lavoro super precario in nero, alcuni vengono incarcerati nei Cara in attesa di chissà cosa (naturalmente a spese del contribuente) vietandogli di partecipare alla formazione del reddito nazionale, lavorando. Altri vengono mandati in campi esteri; altri ancora vengono implicitamente costretti a consegnarsi a quella legalità parallela che è controllata dalla malavita. Altri vivono sotto i ponti. Si arriva a multare caramente il reato di lavoro.
Dopo tanto tempo ricordare le idee che furono elaborate all’epoca da noi e dal Ministero (che era della stessa parte politica del governo attuale) è sconfortante. Perché l’attuale governo non rispolvera quelle idee che ebbero così tanto successo da essere temute dalle sinistre? Servirebbe a dare risposte immediate ai disoccupati noti e sommersi e ad accrescere Pil e gettito fiscale immediatamente e a temperare la grave ed evidente incostituzionalità delle leggi che regolano la materia…
Infatti in un posto come l’Italia dove all’articolo uno della Costituzione v’è il lavoro può esistere un reato di lavoro? Il lavoro “nero” altro non è che evasione che va sanata come noi proponemmo e il Ministro leghista attuò con il versamento di quanto calcolato dall’agenzia delle entrate per quel lavoro e basta. Va regolarizzato tutto questo mondo… Coinvolgere in azioni punitive la Polizia o altri dipendenti pubblici ben preziosi per ben altre questioni, ha del folle.
Uno degli elementi più importanti è la non “utilizzazione” di tantissime braccia che vorrebbero esserci utili, che hanno rischiato la pelle per venire a lavorare per noi, che vorrebbero partecipare al benessere collettivo, che non sappiamo rimpatriare, che costano una fortuna sia a tenerceli che a rimpatriarli, che sono spesso pronti a divenire italiani e che però teniamo disoccupati nell’attesa di chissà cosa. Quel provvedimento che liberalizzava il lavoro aveva visto lungo e oggi la sua assenza produce disoccupazione, marginalizzazione, esclusione, miseria, illegalità. La rigidità della contrattualistica e del costo del lavoro e delle sue regole producono disoccupazione -da un lato- e ricerca spasmodica di lavoratori dall’altro!!! lavoratori che non ci possono essere con questa burocrazia e questa legislazione. Senza parlare del rapporto e dell’equilibrio di forze all’interno dell’azienda. Infine anche l’autoimpiego -spesso di giovanissimi ma anche di licenziati di mezza età- è bloccato dalla impossibilità di assumere nuovi addetti e dal rischio connesso alla loro assunzione: legislazioni sconosciute e penalizzanti per il datore di lavoro limitano la crescita dell’impresa appena nata; in sintesi: una legislazione che punisce sempre e comunque il datore di lavoro perché è l’unico che ha un recapito certo è una legislazione che trasforma lo Stato in nemico dell’impresa e non un suo valido sostegno. Tutto ciò significa la fine della nostra economia ed un rafforzamento delle organizzazioni malavitose attraverso un loro pur perverso ruolo sociale.
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