di Francesco Scorrano

Ogni giorno, nelle zone colpite dal conflitto tra Israele e Palestina, la vita dei civili diventa una testimonianza silenziosa di resistenza e speranza. Mentre il mondo osserva a distanza, i quartieri diventano il teatro di storie di coraggio straordinario, dove la ricerca della normalità assume un valore simbolico.

In città devastate, le madri continuano a preparare i pasti, cercando di mantenere vivo il calore di una famiglia nonostante il rumore assordante delle esplosioni. I bambini giocano nei vicoli, trasformando rovine e detriti in improbabili parchi giochi, i loro sorrisi e risa un grido di sfida alla paura. Gli anziani narrano ai più giovani storie del passato, memorie di tempi di pace che sembrano ormai leggenda.

Questa resilienza non è solo un istinto di sopravvivenza; è un atto di resistenza. La routine, in queste condizioni, diventa un simbolo: accendere una candela, raccogliere acqua, o camminare tra le macerie per andare a lavoro. Ogni gesto quotidiano è una dichiarazione che, nonostante l’assedio, la vita prosegue.

Eppure, la sofferenza è palpabile. Le famiglie si confrontano con perdite, traumi e la costante incertezza di un futuro che potrebbe non arrivare mai. Le scuole diventano rifugi, gli ospedali sovraffollati si trasformano in trincee di emergenza medica, e la speranza, sebbene assediata, si nutre di piccoli momenti di umanità condivisa.

Il conflitto non risparmia nessuno, ma chi vive sotto assedio ha imparato a ritrovare frammenti di dignità dove altri vedrebbero solo disperazione. Questa è la storia della quotidianità di chi, nonostante tutto, sceglie di vivere.

 


FOTO: di nour tayeh su Unsplash

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