di Antonio Vox

 

Siamo bombardati di notizie che arrivano da tutti i fronti su “operazioni di guerra”, ovunque e comunque; tutti i giorni, come una interminabile telenovela.

Devastazioni e distruzioni, stragi, morti, sfollati, famiglie e persone allo sbando; senza futuro.

Ma tutta questa gente che ha costruito, ieri, tutto quello che ha, con fatica quotidiana, e, oggi, perde tutto, di colpo, ha qualche voce in capitolo? Questa gente, di qualunque ceto, è raggruppata in un solo gruppo, massificato, anonimo e spersonalizzato, che è chiamato “i civili”. Ma sono loro che vogliono la guerra? Pensare di SÌ sarebbe una assurdità perché sono proprio loro, e solo loro, che mettono come posta, nel gioco della guerra, i loro beni e la loro vita.

Quindi, vanno preventivamente “plagiati” e “caricati” contro il nemico. E, poi, si costruisce tutta una sceneggiata riprovevole e sempre uguale: dalle piagnucolanti commemorazioni di distruzione e morte, alle bombe “chirurgiche” e “intelligenti”, per scagionare i veri mandanti (quelli nella stanza dei bottoni), addossando agli ordigni di morte gli orrori e la colpa delle devastazioni.

Per concludere il menù, si cuoce una distinzione fra i “civili” propriamente detti e i “civili che vestono la divisa”, i cosiddetti “militari”. Questi ultimi hanno il compito riconosciuto di poterci lasciare la pelle. Per questi, figli dei “civili”, si inscenano celebrazioni d’eroismo e medaglie. Così, sono tutti contenti.

Ma, dobbiamo domandarci: perché si fa la guerra? Pensiamoci un attimo. La risposta è una sola: per dominare, per acquisire potere. Se qualcuno suppone che ci sia una diversa risposta, si faccia avanti, senza esitazione. Dominazione e Potere: ecco il nocciolo duro della Umanità. L’ansia della Umanità, dunque, è rincorrere il dominio e il potere; diventare “dominatore”.

Quale è lo schema ricorrente? Eccolo! Il Dominatore che decide per tutti, anche in paesi sedicenti liberali e democratici; il Militare che è l’arma necessaria del Dominatore; il Civile che serve per giustificare, con il consenso, il Dominatore e, siccome è proprio lui che paga, sembra che sia il mandante.

La guerra è dappertutto, finanche nei giochi dei bambini e nei videogiochi. Quando uno dei due avversari è troppo forte per l’altro, ecco che la guerra si trasforma in colonizzazione: nasce il colonizzatore e il colonizzato; il dominatore ed il dominato.

Se, poi, guardiamo il film della Storia, ci rendiamo conto che non è altro che una successione di guerre. Sembra proprio che la Pace, tanto declamata, sia noiosa: infatti, è, semplicemente, il riposo del guerriero dopo la battaglia. Tanto vale dire che la Pace non esiste; è solo il periodo che intercorre fra guerra e guerra, quando non si è ancora pronti per i conflitto e quando non conviene venire alle mani.

Tuttavia, poiché la guerra è devastazione e morte, è necessario giustificarla. Allora, scende in campo, la maestria della comunicazione che si rifà alla collaudata teoria del “divide et impera”.

Si crea così la “alternativa esclusiva”: bello/brutto, buono/cattivo, musulmani/cattolici, fascista/antifascista, destra/sinistra, Israele/Palestina, Russia/Ucraina, Occidente/Oriente, Vax/NoVax… e così via. Chi più ne ha, più ne metta. La “alternativa esclusiva” è tifo insano, ingabbia le menti e spegne la ragione ed il pensiero critico, non prevede compromessi, è definitiva: di là o di qua; con me o contro di me. Noi preferiamo chiamarla “Dicotomia di Guerra”.

Ma, appena accendiamo la ragione e il pensiero critico, la Dicotomia ci appare subito per quello che è: una camicia di forza che impedisce ogni movimento, inibisce ogni scappatoia, toglie il respiro.

Infatti, non è vero, come propina la propaganda, che si è sempre di fronte ad un punto di bivio. Anzi, non siamo mai di fronte ad un bivio. Da quel punto si possono imboccare infinite strade, diverse opzioni. Optare per una terza strada, significa sfuggire al plagio della Dicotomia, decidere di non scegliere fra due alternative chiuse, progettare e adottare una terza opzione sulla base della nostra identità, della nostra cultura, della nostra convenienza.

Per fare un esempio concreto, la nostra Italia, in Costituzione, rifugge la guerra se non nel caso in cui si debba essere costretti alla strenua difesa del Paese. È un preciso comandamento, di civiltà, assunto dalla Società Civile italiana.

Una volta, al tempo dell’Impero Romano, l’Italia era colonizzatrice. Ma i tempi, dopo quasi due millenni, sono cambiati. Abbiamo costruito una civiltà, sull’humus dello spirito mediterraneo, fatto di incredibili giacimenti di monumenti, di arte, di architettura, di iniziative fantasiose e creative: un palcoscenico unico al mondo, invidiato da tutti per lo stile di vita, per la fantasia del futuro, per la resilienza di un popolo che coniuga, in senso strepitoso, l’equilibrio fra la formica e la cicala. Un palcoscenico di cui si sono volute appropriare, senza riuscirci, le varie dominazioni che l’Italia ha subito.

È uno scenario che, tuttavia, è fragilissimo ma trova il suo fondamento nel rispetto delle identità, nel culto della libertà, nella sacralità della dignità. Non è, l’Italia, un popolo di individui indistinti ma di persone identitarie.

Come può un panorama siffatto, fra Costituzione e Civiltà, prevedere un guerra? Qualunque guerra?

Il pensiero critico ci porta a concludere che il futuro del Paese è la Neutralità, non di opportunità e convenienza come quella svizzera, ma di sostanza, di modo d’essere, di stile di vita. È questa l’opzione, la terza, che proponiamo, per quello che siamo e per quello che vogliamo essere. Già l’immagine d’Italia nel mondo è questa: vogliamo che sia riconosciuta e formalizzata. Vogliamo la Neutralità!

Allora? Quale dovrebbe essere la “politica internazionale” dell’Italia? Quella di un faro di civiltà nel mondo, di una stella polare per tutti, di sterilizzazione dei conflitti, di raccordo costruttivo fra i popoli perché questi si liberino del plagio della Dicotomia e affranchino il proprio pensiero, di incitamento a realizzare la propria identità.

E, allora, il periodo di non guerra, potremo chiamarlo Pace: ecco la rivoluzione intellettuale.

Fantasia? Può darsi. Ma entusiasmante. Non poche fantasie si sono rivelate fattibili. Vedremo con la nostra tenacia, la determinazione, il savoir faire.

 


FOTO: di Antonio Vox

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