di Oronzina Greco

Il pretesto, la molla è stata una visita ad un bel parco di una villa storica privata a Lecce; gli occhi pieni delle varie sfumature del colore verde coniugato in prati, siepi, alberi; gli occhi pieni del colore di fiori e piante.

Il pretesto è stato l’incanto di un mare d’acanto.

Piante foglie e fiori d’acanto vere, vive ma …anche suggestione intellettuale di colonne e capitelli che raccontano millenni di storia e di arte. Il pretesto è stato lo stupore di quanto amore, quanta cura traspariva nell’aver “salvato” due alberi di pino con pali, tiranti, corde… Ed essi erano lì, seppur piegati e contorti, a testimoniare la vita della natura, a testimoniare la vita degli uomini e delle cose.

Ed è, forse, da quello stupore che nasce il chiedere, il chiedersi e il riflettere sulla bellezza e l’identità di un luogo.

Un luogo, con tutto ciò che ha significato e significa, che provoca un sottile e sordo ma persistente dolore quando esso viene stravolto. Quando un albero, due alberi, trenta alberi, ottanta alberi vengono tagliati, cadono e non vengono aiutati a salvarsi come quei due in quel parco è quello il momento in cui la mente, con il suo ragionare e “sentire” si mette in movimento e, inevitabilmente, pensa alla bellezza e all’identità.

Kant dice che la bellezza libera è prerogativa dell’uomo e viene appresa senza riferimento a concetti di nessun tipo, il bello è qualcosa di puro, non fa riferimenti intellettuali ed è indipendente dalle mode. Ed esiste un bello di natura fondato su una realtà oggettiva.

Quegli alberi erano belli, quel viale, un viale della rimembranza, stupendo! I pini definivano, hanno definito per tanti anni, per tanti decenni un luogo, e i luoghi sono dove radicano radici, dove si coltiva memoria, dove c’è relazione, dove c’è vita profonda e legante, dove le “faccine” con gli applausi contano veramente poco e sono così transeunti…Ma l’identità di un luogo, di una popolazione non è transeunte, non è cosa di poco conto perché è qualcosa che si è costruito nel corso degli anni e con fatica, con sudore, con “lacrime e sangue” e non si cancella –come con un colpo di spugna-con un taglio vivo, con una frettolosa spianata di cemento.

I vecchi mi dicono con la loro memoria e i loro ricordi: “Ognuno di quegli alberi ha, ha avuto un nome, ognuno di quegli alberi omaggiava un caduto in guerra ma non evocava morte. Caratterizzava, invece, vita, appartenenza, orgoglio di campanile, sacrificio, amore”.

Gli adulti, indignati, mi raccontano: “Quei pini, svettanti e protettivi e freschi e ombreggianti sono stati testimoni di passeggiate, di corteggiamenti, di risate, di frequentazioni in comitiva, di parlar del futuro, di amori”.

I ragazzi, increduli, osservano: “Boh, li hanno tagliati” …e si chiedono attoniti: “Perché li hanno tagliati e non curati? Essi che, nel rientrare tardi la sera nel loro paese, li riconoscevano e ne erano rassicurati e si ritrovavano e si sentivano a casa tra quelle sagome familiari, presenti e vive seppure un po’ acciaccate, non si danno ragione della nuova realtà del viale spoglio.

Amore, amori… Quanto abusata- penso- è questa parola ma non veramente praticata se, talvolta o spesso nelle città, nei paesi, nei borghi è preferibile “calpestare un territorio” e non fare di tutto e di più per mantenerne l’integrità, per custodire bellezza, identità e memoria collettiva, per rispettare la storia dei luoghi e delle persone che li abitano.

Certo avere cura e custodire è ben più difficile che trascurare, abbandonare o provocare ferite così come è accaduto con l’eradicazione dei pini a Caprarica di Lecce sul toponimo “Li Ponti”, la via Galugnano che porta sia in paese che in città.

Per avere “cura” bisogna essere avveduti e coraggiosi, orientati al futuro, talvolta disobbedienti e voglio credere che l’impegno prossimo di tutti possa essere l’amare e il rispettare un po’ di più, il ripristinare un bello di natura e, quindi, il reimpiantare un pezzo di natura ma anche un pezzo di storia. Per tutti noi, per il nostro territorio.

 

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