di Carmine Collina,

archeologo e Dirigente

ISISS “Fiani-Leccisotti”

Il lavoro di un archeologo preistorico è fatto di sacrifici, impegni, attenzione scrupolosa a procedure e metodi di ricerca e scavo.

“Se spesso nell’immagine comune è passata l’idea dell’archeologo come avventuriero improvvisato, magari con frusta e cappello alla Indiana Jones, nella realtà l’archeologo è uno scienziato che affronta con meticolosità e ripetitività, quasi ossessiva, tutte le tappe del suo lavoro dal terreno al laboratorio fino alla pubblicazione”

 La ricompensa a tanti sacrifici, però, è gratificante e entusiasmante ed è data dalla enorme cifra di meraviglia e libertà che questo lavoro dona.

A volte anche per le felici circostanze degli eventi.

Ed è questo che voglio adesso brevemente raccontare…

Mi trovavo in Etiopia per una delle missioni di scavo di cui facevo parte come archeologo preistorico specialista di sistemi tecnici paleolitici. Quando ti trovi in quei contesti di lavoro e di vita è come se il tempo, per certi versi, si fermasse e tu entri in una sorta di trance agonistica in cui la cosa più importante è raggiungere determinati obiettivi nei tempi limitati della missione di scavo.

In quei momenti, in quei luoghi, è come se ti immergessi in un mondo parallelo in cui costruisci la tua nuova dimensione che è data anche dalle relazioni sotterranee con il “cuore” di terra dell’Africa.

Un giorno, stanco e anche un po’ frustrato per tutti i problemi legati alla gestione dei ritmi e delle scadenze del nostro programma di interventi, sono partito per un piccolo viaggio sul Monte Bale, nel sud dell’Etiopia, un po’ per piacere un po’ per motivi di studio.

Scendendo dalla cima verso ovest, in un habitat di alta montagna a più di 4000 metri slm nell’estremo est del Rift africano, si attraversa per chilometri una foresta meravigliosa popolata da diversi gruppi di babbuini, facoceri e antilopi. Ci fermiamo per fare delle foto.. per strada un gruppo di babbuini si avvicina alla nostra auto incuriosito dalla nostra presenza, l’aria è pungente e umida, il verde intorno è un frastuono di sensazioni visive e uditive.

Abbiamo di fronte due strade, tutte e due portano alla nostra prossima tappa, un villaggio a 100 chilometri di distanza nell’acrocoro.

Una attraversa la foresta, l’altra la costeggia. Decidiamo per la prima.

Risaliamo in auto, facciamo pochi metri, mi appoggio con la testa al vetro del sedile posteriore, il mio sguardo è perso nell’intreccio di acacie che si intravede al di là del ciglio della strada. È a quel punto che avviene qualcosa di eccezionale.

All’improvviso, come un baleno in un cielo buio, l’occhio cade su un leone e una leonessa appostati sul bordo del sentiero.

È in particolare lo sguardo della leonessa che mi attraversa e mi cattura, riesco in modo concitato a fare una foto, è un delirio di emozioni per me e i miei compagni di viaggio, paura, felicità, meraviglia allo stesso tempo sono i sentimenti che attraversano quel minuto di tempo che il caso ha voluto donarci. O meglio, forse, il destino. Sì, il destino, perché probabilmente gli occhi di quella leonessa erano lì ad aspettarmi prima che scegliessimo quella strada.

Il destino, perché da quel momento, ritornato al nostro villaggio, diventai per tutti ‘Ato Ambassa’ che nella lingua oromo significa ‘Signor Leone’ ”

 Cambiò ogni cosa, fu come se quel leone lo avessero visto tutti prima di me: ogni sera, alla fine della giornata lavorativa, gli uomini e le donne del villaggio mi chiedevano il racconto di quell’incontro inaspettato e raccontavano che avrei avuto minimo due figli, che i leoni incontrano solo gli uomini forti, che la vita è piena di sorprese.

Alla fine della campagna di scavo riuscimmo ad ottenere i nostri risultati, mi piaceva credere che in fondo gli occhi della leonessa erano stati la coincidenza casuale che aveva contribuito a migliorare il nostro clima lavorativo e a dare nuove energie a noi tutti.

La foto di quella leonessa è oggi uno dei ricordi più belli della mia vita da archeologo, mi ricorda ogni giorno cosa significa amare il proprio lavoro, affrontare con passione le proprie dimensioni professionali ma, soprattutto, rappresenta un “memento” straordinario: la vita è un dono in sé che ogni giorno regala opportunità e coincidenze.

Saperle cogliere, a volte, è nel destino di ognuno di noi”

 

*Foto  ©Carmine Collina

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