Diritto errante – a voi le reazioni

di Giulia Romagnolo
Intervista a Guglielmo Siniscalchi
Docente di Filosofia del diritto Università degli studi di Bari Aldo Moro
Citando le parole del giurista praghese Hans Kelsen, il diritto è la più grande macchina creata dall’uomo, frutto dell’unione tra ingegno tecnico e spirito umano.
Oggi, tra limitazioni temporali e delimitazioni territoriali, avvertiamo con maggior vigore la forza che esso esercita sul regolare corso della nostra vita, avvicinandosi però più all’idea di una presenza intimidante, anziché alla sua originaria funzione di mediatore e risolutore di conflitti umani.
È quindi possibile che un meccanismo così tecnico e scrupoloso, proprio in virtù della sua natura così umana, possa alle volte sbagliare? E quali errori può commettere?
<< L’associazione tra diritto ed errore rimanda ad una sfera che implica la definizione della nozione di verità, a cui di fatto il diritto è abbastanza allergico.
Il diritto non è mai o vero o falso, ma valido.
Quindi, più che di errore, oggi possiamo parlare di un’erronea giustificazione di quei processi giuridici che sono validati all’interno di un dato contesto come norme, precetti o azioni.
Ecco perché parlare di errore significa più che altro riferirsi ad una inadeguata o poco adeguata giustificazione dell’obbligatorietà della norma.
Il dibattito che si apre spesso anche nelle mie aule sul “perché seguire una norma” è uno dei punti focali dell’analisi condotta dalla filosofia del diritto. Nel momento storico che stiamo attraversando poi, con questa ipertrofia di norme, comandi e limitazioni, il tema dell’obbligatorietà del diritto diviene di scottante attualità. Mai come oggi occorre chiedersi se esista effettivamente una motivazione tanto valida e funzionale da legittimare le attuali disposizioni emergenziali o se, invece, le stesse pongano le loro basi su un errore che ne comprometta la giustificazione. >>
Oggi, quindi, in cosa trovano giustifica le norme dispositive volte a contenere la pandemia da Covid-19?
<< Da anni sostengo che il diritto, per come noi lo abbiamo immaginato, basandoci sulle forme e sulle teorie del secolo scorso, è in uno stato di crisi.
Nella particolare epoca che stiamo attraversando, questo tema è ancora più evidente soprattutto se pensiamo ai limiti delle decisioni che vengono prese dai legislatori, sempre legate alle oscillazioni empiriche delle indicazioni degli studi scientifici e dei dati che monitorano l’andamento pandemico.
Il tema dell’errore si presenta qui in modo ancora più rilevante. La discussione legislativa oggi è il continuo e complesso risultato di una mediazione tra l’evidenza di dati scientifici e decisioni che rispecchiano scelte morali e politiche. Scelte che, a loro volta, devono necessariamente considerare anche le richieste della popolazione.
Ecco sintetizzato il conflitto tra scienziati e politici cui assistiamo da mesi. Per quanto quest’ottica di un diritto giustificato dall’evidenza di un dato scientifico sia affascinante e insolita, è interessante anche osservare le reazioni della popolazione di fronte a scelte legislative eccezionali.
Osservazione ancora più interessante se consideriamo come queste evidenze non abbiano prodotto solo qualche legge o norma, ma abbiano favorito una situazione paradossale: un nuovo stato di normalità basato sulla continua emergenza.
Posto che lo Stato di emergenza, come insegna un giurista controverso come Carl Schmitt, debba essere sempre circoscritto temporalmente, la situazione attuale invece perdura da tempo, configurandosi piuttosto come una eccezionale normalità da cui sembra difficile poter tornare completamente indietro. >>
Metaforicamente, è come se fossimo nel mezzo di un terremoto, con un epicentro che, in base alla forza della scossa, propaga effetti ad ampio raggio e noi potessimo vederli solo a una certa distanza.
Può quindi la popolazione stessa, ultima interessata da questa conseguenzialità di effetti, essere il punto migliore di osservazione per capire non solo quali errori vengono commessi, ma anche cosa fare per porvi rimedio?
<< La questione presenta tre livelli d’analisi: un primo ambito riguardante i processi scientifici, con la verità o falsità dei dati raccolti ed analizzati; un secondo, che riguarda i processi di decisione normativa, in cui rientra il tema della giustificazione dell’obbligatorietà; un terzo che considera i destinatari in quanto soggetti che possano effettivamente percepire l’errore di scienziati, legislatori e giuristi. Dai tre livelli possono emergere le varie dimensioni in cui il diritto può errare.
Ad esempio, l’impressione che si ha è che questo Stato di emergenza/eccezione produca un gioco perverso di falsa percezione di obblighi: più disposizioni vengono prodotte meno ne avvertiamo l’obbligatorietà perché meno ne comprendiamo la giustificazione. Fenomeno inquietante che però a me personalmente fa ulteriormente protendere verso l’idea da cui siamo partiti di crisi del sistema del diritto.
Il virus non solo ha cambiato le nostre vite da un punto umano, ma sta modificando anche le nostre istituzioni.
Michel Foucault, già nella seconda metà del Novecento, sembra aver descritto l’inefficienza dei nostri apparati statali, troppo grandi, o troppo piccoli, ma comunque mai abbastanza vicini ai destinatari per poter dedicare attenzioni specifiche alle necessità di una società che cambia a ritmo sempre più veloce. >>
La macchina del diritto è l’unica bussola che può permetterci di navigare in questo mare magnum dell’umano, a patto che venga dallo stesso umano ripensato.