di Francesco Cosimo Andriulo

 

— C’era una volta…
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno

 

Inizia così il celeberrimo testo di Carlo Collodi pubblicato per la prima volta  nel 1881, favola per bambini che noi tutti ricordiamo spesso per le trasposizioni cinematografiche ma che nasconde nella sua versione originale messaggi e metafore profonde e a tratti oscure,

Geppetto è un anziano falegname, un artigiano, ma sopratutto un uomo solo, che attraverso le sue mani esperte e ricche dei calli di una vita realizza un’opera nuova, un uomo fatto di legno o forse del legno che aspira ad esser uomo: Pinocchio.

Pinocchio è conosciuto un po’ da tutti per il suo naso allergico alle bugie e per i suoi modi da scansafatiche ma in realtà è lo specchio di un’ Italia passata o forse presente.

La fata turchina in realtà è una bambina morta e il gatto e la volpe non sono due furbastri divertenti, ma esseri pronti ad impiccare il bambino di cellulosa pur di estorcergli qualche moneta d’oro, scena che aveva concluso la prima versione della favola.

La vera storia di Pinocchio è oscura, violenta e a tratti sembra “eccessiva” per dei bambini e forse lo è, ma il male che contiene insegna alle nuove generazioni le contraddizioni della realtà.

Gli errori commessi dai personaggi spesso sono causati dalla sua ignoranza, che nel Paese dei Balocchi è incentivata persino dal Cocchiere e proprio colui che dovrebbe sorvegliare i bambini li incita a inseguire i loro vizi.

In questo clima cupo spicca la figura di Geppetto, che tra stenti e fatiche, cerca di sostenere Pinocchio, dando via la sua giacca per dei libri, amando un figlio che non aveva intenzione di seguire la retta via.

Geppetto non è solo un artigiano, ma diviene a tutti gli effetti un padre, dolce e misericordioso, quanto deciso dinanzi alle nefandezze del bambino dal naso lungo, questo accade in fondo perché l’arte ha vita propria ed è distaccata dal suo artista.

Alla fine dopo numerose peripezie e una trasformazione in asino, allegoria per eccellenza dell’ignoranza tanto sbeffeggiato dall’autore, il Pinocchio di legno inizia ad diventare umano e abbandona i vizi per salvare suo padre, il suo creatore, il suo Demiurgo, dalla pancia della Balena in cui giaceva da anni.

Il protagonista pigro accetta gli oneri della vita, sacrificandosi per un artigiano che gli aveva donato le forme, intagliandolo da un legno duro e povero.

Carlo Collodi ha creato una potente metafora del dualismo tra artigiano e artigianato, tra arte e artista, tra padre e figlio, dualità che non è destinata a concludersi, anzi ha garantito un posto nella Letteratura Italiana allo scrittore fiorentino.

“Il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità; ed egli vi si rizza in piedi ed entra nella vita come l’uomo che intraprende il suo noviziato: fantoccio ma tutto spirituale”

Benedetto Croce

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