di Dunia Elfarouk
Parlavo, qualche articolo fa, di come l’artista non possa e non debba essere considerato un essere umano avulso alla realtà sociale, riparato dal suo scudo di vernice fresca, fantasticherie e illusionismi da tutto ciò che accade fuori. Di come non possa essere reputato un curioso giullare che intrattiene la gran corte del mondo, mentre quest’ultimo va a rotoli.
No, non può più essere così. Vorrei, almeno, che così non fosse.
Nel suo essere extraterrestre, l’artista affonda i passi nel fango della società e nei fiori che di tanto in tanto trovano alimento per le loro radici in quella stessa poltiglia scura.
L’artista che si unge di realtà e la racconta, da folle, visionario e, quindi, in estrema sintesi, da illuminato uomo di buonsenso è il mio artista preferito. Inocula le gallerie, i musei o le strade di denunce, dichiarazioni di dissenso, affermazioni di appartenenza o prese di distanza. Rispetto a ciò che all’Uomo sta accadendo. Ho sempre creduto poco all’esibizionisnismo di lacerazioni interne, seppur sia stata fan adorante della Plath, in acerba gioventù, e persino della Woodman, di quest’ultima tuttora, lo confesso.
Sprofondo anch’io in introspezioni esistenzialiste che allontanano dalla strada e dalle facce che la percorrono. E fantastico, mea culpa. E placo, a fine giornata, la stanchezza o l’insoddisfazione in un bicchiere di vino rosso e volo un po’ più leggera e leggo, nonostante i miei trent’anni, favole per bambini. Non perché la realtà mi stia stretta, ma perché credo che si possa cambiare, perché credo si possa migliorare, perché, come mi ha ricordato oggi una persona cara che mi è Guida e Maestra:”Tutto è possibile, Dunia.”
Insomma, oggi che il mondo, infiacchito da pestilenze intellettuali e pandemie fisiche, ha bisogno più che mai di un portavoce che sia davvero fuori dal coro e che racconti per davvero questi strani tempi, auspico più veemenza sincera nella poetica e meno virtuosismo fine al suo vuoto, più spirito civile e meno barbarie dello spirito. Più umanità e meno narcisismo da salotto.
È per questo che ringrazio, di nuovo, Bansky, o chiunque si nasconda dietro questo nome: se Arte è Verità, è anche compassione, denuncia, grido da oltre la platea degli astanti, istituzioni e cittadini, ancora trattenuti da una globale paresi.
Se Arte è Verità è anche intercessione vocazionale tra ideali superiori e il consorzio sociale: Un volto nero. Un omaggio ad un caduto. Ingiustamente. Dei fiori bianchi. Cerini spenti. E quel che resta di un’America che boccheggia speranza tra la cenere e che forse, in qualche anima, è ancora in vita.
Bene. Non ti santifico Bansky, ma ti stringo virtualmente la mano, per aver parlato da uomo-artista agli altri uomini.
Con Umanità.

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