di Francesca Casciaro

 

Nelle avversità uno dei più grandi rischi che si può correre non è tanto rinunciare a vedere la bellezza nel mondo, quanto rinunciare ad essere la bellezza nel mondo.

Nei momenti veramente difficili troppo spesso paura e frustrazione finiscono per distruggere i rapporti e fiaccare spirito e ambizioni: vivendo in un incubo del quale non si intravede la fine, finiamo per arrenderci alla parte peggiore di noi stessi, perdiamo speranza e ottimismo… ci incattiviamo.

L’epidemia di questi mesi è sicuramente l’evento più traumatico che abbia attraversato le nostre vite dai tempi della seconda guerra mondiale. E’ stato un fulmine a ciel sereno, inaspettato e imprevedibile, che ci ha trascinato violentemente in uno scenario “orwelliano”.

 

 

 

 

 

 

All’improvviso, un nemico invisibile ha stravolto le nostre esistenze, impedendoci di compiere tutte quelle attività che sino a un attimo prima ci erano parse così scontate.

Abbracciare un amico, far visita alla propria famiglia o, semplicemente, uscire di casa per una passeggiata, sono diventate attività ad alto rischio e, per questo, vietate.

Eppure, nel modo in cui l’umanità si è unita per fronteggiare l’epidemia, non si può fare a meno di scorgere un barlume di collaterale bellezza.

Il rischio era che la pandemia causasse un abbrutimento esistenziale, che si iniziasse a vedere nell’altro un pericolo e un nemico, invece che un nostro simile, che riemergessero prepotentemente egoismo e frustrazioni e che il Covid, oltre che la libertà, ci portasse via l’umanità.

Non è stato così.

Certo, ci sono state le eccezioni, ci sono stati i furbi, i ribelli, gli arrabbiati. Ma ci sono stati anche (e sono stati molti di più) quelli che hanno dimostrato rispetto, altruismo e compassione.

La bellezza collaterale nella pandemia è quella stessa “solidal catena” che ha commosso Leopardi secoli fa, della quale ha cantato ne La Ginestra, è l’eroismo del fiore del deserto.

Perché al cospetto della potenza delle catastrofi naturali il singolo uomo è impotente e nulla può, la solidarietà è l’unica via.

Se, nei tempi di crisi, la solidarietà non si rafforza ma si debilita, l’umanità tutta è destinata a soccombere.

La bellezza collaterale nella pandemia è una società che, come il fiore del deserto addolcisce le irte pendici del Vesuvio cosparse di lava scura, offre il meglio di sé nel più tragico degli scenari.

L’eroismo della ginestra non è nell’aspirare a durare in eterno ma, semplicemente, esistere quel tanto che basta a offrire al mondo la bellezza che ha da donare, senza presunzione o arroganza.

L’instancabile impegno dei medici e degli operatori sanitari, le campagne di crowfunding per la terapia intensiva, i servizi di consegna della spesa per le famiglie in difficoltà e il sacrificio di un intero popolo che, obbedendo alle prescrizioni governative, ha rinunciato per una buona causa alla più scontata delle libertà, quella di movimento, sono state la bellezza di questa pandemia, il volto migliore di un popolo che ha lottato per poter un giorno ricominciare.

L’Italia non si è arresa ed è stata prudente: ha sacrificato il sacrificabile per preservare il diritto alla salute di tutti i cittadini, sforzandosi di impedire il collasso della sanità in modo che nessuno fosse tagliato fuori dalle cure necessarie per la sopravvivenza.

La storia del fiore del deserto può essere di grande ispirazione nel contesto che stiamo vivendo, perché ci mostra la via da seguire: dobbiamo essere noi la bellezza che vogliamo vedere nel mondo, anche nella peggiore delle situazioni e, come il fiore del deserto emerge dalla lava, così noi dobbiamo coltivare il meglio che c’è in noi e fiorire nelle avversità.

Dobbiamo avere la bellezza del fiore del deserto.

5 thoughts on “Come fiori del deserto

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