di Francesca Summaria

HARUKI MURAKAMI, in suo libro, scrive “quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.

È la verità.

La perdita improvvisa di un genitore, la perdita del lavoro che amavi, la perdita del tuo cane, la perdita dell’amore, la fine di una amicizia che credevi vera e salda.

Dopo tutte queste tempeste vieni catapultato in una vita nuova e, quasi sempre, costretto a viverla con il dolore nel cuore, per sempre.

Tutto cambia e, ovviamente, in primis sei tu a cambiare, soprattutto fra le diverse fasi del lutto. Lutto inteso nel suo più ampio significato, ossia come angoscioso tormento.

Questo cambiamento bisogna accettarlo, bisogna scendere a patti con il tuo nuovo “io”, conoscerlo anche se, in una prima fase, sarà certamente cinico, rabbioso, diffidente e vittima di se stesso – perché proprio a me? Perché tutte a me? – ma è il cammino necessario e imposto per raggiungere e apprezzare la finale bellezza collaterale degli accadimenti.

Come prima accennato, dopo o durante la tempesta vivi in un buco nero di odio, nevrosi e totale scetticismo nei confronti di qualunque cosa e persona, soprattutto se le tempeste su menzionate si susseguono una dopo l’altra nel giro di pochi mesi.

Poi, in modo del tutto inaspettato, ti svegli.

Può essere il gesto di una persona cara, il sorriso di un passante, l’incontro casuale con un conoscente che ti chiede “come stai” facendoti toccare con mano la sincerità di quella domanda, la richiesta di un tuo consiglio da parte di una persona che ammiri, la gentilezza di un commerciante, una qualsiasi cosa che, in qualche modo e per qualche inspiegabile motivo, ti arriva dritta al cuore e ti sveglia.

Capisci che non ha alcun senso piangersi addosso, restare imprigionati nel pensiero di quello che sarebbe potuto essere, tanto, stai pur certo, non lo sarà mai e mai più.

Passi, dunque, alla fase successiva, che non è – attenzione – la rassegnazione, ma la scoperta di ciò che di bello si è creato intorno a te dopo la tempesta, anzi grazie alla tempesta.

La bellezza collaterale.

Occasioni, conoscenze, opportunità che non si sarebbero mai potute realizzare se la tempesta non si fosse abbattuta su di te.

In questa fase inizia la rinascita è anch’essa faticosa, poiché devi nuovamente conoscere il tuo ennesimo e nuovo “io” ma è accompagnata dalla realizzazione che non tutto è perduto che il tuo mondo non è (solo) un buco nero e che tu non sei (solo) un cinico, rabbioso, diffidente e sfigato essere umano.

“ Dalle ceneri risorgiamo “  ed è ciò che avviene grazie alla bellezza collaterale.

Devi essere, però, pronto e in piedi per rendertene conto, per razionalizzare e apprezzare ciò che di bello scaturisce da una tragedia, devi essere forte per comprendere che le cose non sono scontate ma vanno apprezzate a fondo in tutta la loro essenza.

Smettendo di filosofeggiare, ecco un esempio concreto e attuale:

da almeno 50 giorni ci hanno tolto la libertà, se non lo avessero fatto, avresti mai pensato di infornare una torta preparata con tua mamma e godere della gioia dei suoi occhi?

Avresti mai pensato di restare due ore in videochiamata con il tuo migliore amico di Londra che non senti mai?

Avresti mai pensato di cantare l’inno d’Italia con il tuo sconosciuto dirimpettaio scambiandovi gesti di assenso e complicità?

È la bellezza collaterale, accorgitene e cercala in ogni cosa, solo così potrai continuare a sentirti vivo.

 

 

 

 

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