La nona ora Maurizio Cattelan

 

di Massimiliano Porro

storico dell’arte

 

“Dio non ha una religione”
(Mahatma Gandhi)

 

Arte e religione come binomio inscindibile che nel corso dei secoli ha concepito un incommensurabile numero di opere straordinarie, conosciute e riconosciute da tutti. Mecenatismo, giochi di potere, gloria dell’artista: ogni creazione lasciava una traccia portando con sé un’onda sonora, emozionalmente sublime.

Biblia pauperum si definiva un tempo la produzione che incontrava occhi e cuore dei fruitori, nella maggior parte dei casi analfabeti, che necessitavano di immagini per ritrovarsi e ritrovare la via maestra in un mondo allo sbando.

Oggi il mondo, e non solo in questi tempi funesti, allo sbando lo è ancora e il connubio Arte/religione ha perso il senso primo per cui era nato. Si può parlare di Arte vs Religione? Si può, si deve. Cercando di prendere tutto con le pinze.

Il secolo breve, appena trascorso, insieme all’attuale ha scardinato le regole: il “rompete le righe!” ha trasformato l’artista in libero interprete della quotidianità mettendo sul piatto effigi e sfide che superano di gran lunga il detto “scherza coi fanti ma lascia stare i santi”. Sia chiaro: l’arte non si scaglia inevitabilmente contro la religione ma attinge a piene mani dall’iconografia tradizionale del credo popolare per giungere anche ad una sovversione dei contenuti, manifestando una rivoluzione laica in cui i soggetti rappresentati strizzano l’occhio al culto. Ciò che era religioso è reso profano per provocare (a volte) e scuotere (sempre), scoperchiando vasi di Pandora. Che sia gesto pubblicitario o gioco delle parti che si rovescia, che sia provocazione per attirare l’attenzione, in un istante l’immagine rimbalza in ogni luogo, su ogni smartphone o tablet, creando nuove modalità di trasmissione del pensiero.

Tra i numerosi esempi spunta all’orizzonte il tema della Pietà. L’eclatante scultura del giovane Michelangelo, presente in San Pietro a Roma, è stata più volte ridiscussa rendendone la sacralità un elemento in continua trasformazione “laica”. Omaggio, secolarizzazione, eresia… O forse solamente il nuovo gusto di raccontare la quotidiana miseria moderna.

Nel 2006 il fotografo David LaChapelle immortalò la cantante Courtney Love come novella Maria che reggeva sulle ginocchia il Cristo con sembianze assai simili a quelle del marito e leader del gruppo grunge Nirvana, Kurt Cobain, morto suicida nel 1994. Tra Paradiso e Inferno (leggi Heaven and Hell) emerge il ricordo di un martirio, di una vittima della dipendenza dagli stupefacenti, di chi ha lasciato la terra generando “sacre” lacrime nel culto di massa dei fans adoranti. Inoltre il Cristo non mostra solo i fori della crocifissione ma sul corpo senza vita ci sono le ferite dell’eroina, lungo tutto l’arto che pende dall’abbraccio di Madonna-Courtney. Irriverente omaggio in cui classico e contemporaneo spruzzati di glamour convivono. E una Bibbia chiusa buttata per terra diviene simbolo dell’accezione negativa del fotografo verso il cattolicesimo: tutto si carica di pathos.

David LaChapelle – Pietà

Pochi anni dopo (2011) l’artista fiammingo Jan Fabre espose alla Biennale di Venezia una Pietas che suscitò fragori altisonanti. Qui la Madonna diviene Signora Morte dal volto scheletrico mentre Cristo è l’artista stesso, in giacca e cravatta, a piedi nudi, con lumache, vermi, cervi volanti poggiati sul corpo. Gli elementi simbolici della tradizione pagana, cristiana e orientale, ricorrono in ogni suo lavoro, nel quale il comune mortale è sia uomo sia essere divino: metamorfosi continue in uno stato d’animo decisamente attuale. Jan Fabre racconta che la pietà è come un cervello e i cervelli sono anche pietà. In questa opera che fonde insieme altre sculture si passa da un cervello che rappresenta intrinsecamente una visione pagana della religione, a un altro dove si avverte una visione più cristiano-cattolica.

Jan Fabre – Pietas

Procedendo nel percorso, si incrocia un cervello col bonsai, legato allo scintoismo giapponese, e infine uno con delle tartarughe la cui presenza è un riferimento alla religiosità cinese, indiana e degli antichi greci. Siamo di fronte ad una celebrazione di vita e morte, insieme. È un campo di battaglia, dove spiritualità e bellezza si incontrano e si scontrano.

Jan Fabre – Pietas

Come non ricordare poi Fabio Viale e la sua Pietà in absentia, senza il corpo di Cristo, e quella ancor più struggente in cui il cadavere è un uomo nero: il protagonista dell’opera viene infatti sostituito con uno fatto di carne e ossa, pur sempre accolto tra braccia materne benevoli. L’anno è il 2018. A Milano, in occasione della mostra alla Galleria Poggiali, il curatore Sergio Risaliti così raccontò l’opera: «È la storia individuale di Lucky Ehi che diventa centrale. Una storia esemplare, paradigmatica, eppure simile a quella di migliaia di uomini e di donne che fuggono dal proprio Paese di origine in cerca di pace e di benessere, di libertà e fratellanza. Ecco che la storia di Lucky Ehi si sovrappone a quella di Gesù, Lucky Ehi è l’esausto che trova pace sulla Pietà al posto del Messia. Il messaggio cristiano in cui ha riposto speranza il giovane nigeriano – così come ci testimonia il tatuaggio – trova un compimento simbolico. E in questa storia dei nostri tempi, Maria – che è anche chiesa e comunità nell’iconografia religiosa – è la madre, la comunità laica, che accoglie e abbraccia consolando». Altri martiri, altre tragedie, altri moniti verso la scelleratezza dell’uomo cui non basta più la semplice religione che viene via via abbandonata in favore di nuove figure.

Fabio Viale – Lucky-Hei

E rinchiusi oggi tra le mura domestiche, ostaggi di un invisibile virus, fa ancora impressione l’opera La nona ora di Maurizio Cattelan realizzata nel 1999. La figura dell’allora pontefice Giovanni Paolo II colpito da un meteorite ricorda la fatica e la malattia che progressivamente stava schiacciando il Papa. Il meteorite diviene simbolo del male sull’uomo che tuttavia non si piega. Infatti Giovanni Paolo II, emblema di una umanità tenace, qui non è ritratto morto ma soltanto accasciato e saldamente si aggrappa alla croce cui pare sostenersi con tutte le sue forze. Vien dunque da domandarsi quanto possa essere considerata blasfema un’opera così: Cattelan, maestro di furbizia mediatica resta in equilibrio sul sottile confine di celebrazione e provocazione dissacrante.

Tralasciando ogni moralismo è chiaro che lo spirito riformatore dell’arte contemporanea lasci aperte vie di dialogo e scontro in cui etica ed estetica prendono, talvolta, strade diverse rendendoci liberi e solitari interpreti di sconvolgimenti apocalittici.

 

PH: Maurizio Cattelan, La nona ora

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